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Un colossale fallimento chiamato "Fordlandia"

Un colossale fallimento chiamato “Fordlandia”

Era il 1928 quando una notizia sconvolse il Brasile settentrionale: Henry Ford in persona si stava recando nel cuore della foresta amazzonica per annunciare l’attuazione di un ambizioso progetto, uno di quelli che, in caso di successo, avrebbero cambiato le sorti di un’intera regione nell’immediato e sul lungo termine. Una rivoluzione in pieno stile fordista. Quel progetto aveva un nome già scelto a priori, un nome destinato a far discutere fino al secondo dopoguerra: Fordlandia.

Un colossale fallimento chiamato "Fordlandia"

I giornali locali impazzirono e iniziarono a delirare sulle idee del magnate dell’industria automobilistica. Speculazioni vedevano un giorno Ford intento a costruire una linea ferroviaria per il collegamento costiero, il giorno successivo la progettazione di una fabbrica di automobili, la più grande del mondo addirittura. L’interesse di Henry Ford per quell’area del Brasile era di tutt’altra natura.

Il monopolio della gomma esercitato dall’Inghilterra grazie ai suoi possedimenti orientali (Sri Lanka e Malesia in primis) stava facendo lievitare il prezzo delle nuove auto Modello A, recanti il marchio Ford, chiaramente. Era quantomai necessario cercare una propria fonte di approvvigionamento, in grado di soddisfare la richiesta di gomma della Ford Motor Company per la produzione di pneumatici. La visione di Ford andava oltre un semplice accordo import-export; egli desiderava costruire una città ideale in grado di incarnare i valori etici e professionali della grande industria fordista.

Fordlandia Henry Ford

Quella città, Fordlandia per l’appunto, sarebbe sorta in un luogo dall’evidente potenziale economico, ma dalla storia recente infelice. Alla fine degli anni ’20 del Novecento il bacino dell’Amazzonia era in decadenza. Alla fine del secolo precedente, la regione aveva beneficiato del monopolio della gomma, di una domanda alle stelle e di un’efficiente rete di trasporti, con gli affluenti del Rio delle Amazzoni quasi sempre navigabili nel corso dell’anno. Città quali Belem – alla foce – o Manaus – a monte – si trasformarono in rigogliosi e vivaci poli commerciali, in cui lo sfoggio della ricchezza era all’ordine del giorno.

Un sogno destinato ad affievolirsi e morire. Quando all’inizio del XX secolo gli inglesi compresero di poter piantare gli alberi da gomma in altre aree tropicali (magari di loro competenza) senza doversi preoccupare dei parassiti tipici dell’Amazzonia, il centro della produzione mondiale si spostò dal Sudamerica al Sud-est asiatico. L’impatto negativo ebbe una portata colossale sul bacino amazzonico, che entrò nella spirale della depressione socio-economica. Dove tutti videro abbandono e degrado, Ford vide un’opportunità di guadagno personale e rilancio locale.

Fordlandia bacino amazzonico

Nel 1927 il potente industriale inviò due suoi rappresentati per trovare un accordo con le autorità brasiliane. Non fu semplice individuare una quadra che accontentasse entrambe le parti e alla fine Ford ne uscì “beffato”. La sua neonata Companhia Industrial do Brasil strappò una concessione di 10.000 km² di terreno sulle rive del fiume Tapajós, nello Stato del Parà. In cambio il Brasile ottenne 125.000 $ subito, più il 9% dei profitti annui. La beffa stava in un cavillo legislativo che i legali di Ford non individuarono per il quale il magnate statunitense poteva appropriarsi del terreno quasi gratuitamente. Poco importava, Fordlandia era sul punto di nascere e nell’aria c’era grande entusiasmo.

Grande entusiasmo che venne meno il giorno uno dei lavori. Gli operai iniziarono a costruire la città-stato di Ford su un’altura di fronte al fiume Tapajós. Se da una parte era un bene, perché impediva alle inondazioni di spazzare via quanto realizzato, dall’altra rendeva il trasporto del materiale da costruzione (e un domani il trasporto merci) proibitivo. Si disattese la semplice logistica e gli operai ci misero un po’ a mettere in piedi la prima ossatura di Fordlandia.

Fordlandia ripresa dall'alto anni '30

La situazione sembrò sbloccarsi nel 1929 sotto la supervisione del nuovo manager, il norvegese Einar Oxholm. Fu quest’ultimo a dirigere i lavori per le infrastrutture e la rete viaria di base, anche con discreto successo, bisogna ammetterlo. Sua anche l’idea di costruire il quartier generale del complesso in un’area separata dalla città. Nacque dunque Vila Americana, area residenziale ed amministrativa con una splendida vista su Fordlandia, dotata di acqua corrente e di ogni conforto possibile. Indovinate chi non aveva né acqua corrente né tantomeno le comodità riservate ai dirigenti di Fordlandia? Esatto, tutti i lavoratori brasiliani che lavoravano giorno e notte per mettere in piedi l’utopia di Ford.

Infatti di quello si trattava, di un’utopia in grado di scavalcare la banale concezione della città-piantagione. Avrebbe compreso case per i lavoratori, ospedali, scuole, chiese, piscine, e persino un campo da golf. Gli edifici erano in stile americano, completamente alieni al contesto amazzonico. Fordlandia basava la sua essenza sui valori puritani di Ford: proibizione più assoluta al consumo di alcol, alle danze e al gioco d’azzardo. I lavoratori dovevano seguire una dieta americana e rispettare orari e regole rigide.

Fordlandia torre idrica

Con l’avvento del 1930 gli operai inaugurarono la struttura simbolo della città: la torre idrica. Un faro utilitaristico di modernità per l’ideale civilizzatore di Ford. Ai successi di facciata non seguivano progressi concreti, anzi, il contrario. Il processo di ripulitura della giungla circostante per le piantagioni di gomma procedeva a rilento. Nonostante i salari tipicamente alti dell’industria fordista, la manodopera specializzata scarseggiava. Il legname nel frattempo accumulato non garantiva gli utili necessari al sostentamento generale (in mancanza di gomma).

A ciò si aggiunse il crescente malcontento di lavoratori (estenuati e affatto tutelati) e stampa (un tempo amichevole, ora decisamente indispettita dai ritardi sulla tabella di marcia). Oxholm saltò e dopo di lui molti supervisori presero parte al progetto, fallendo puntualmente. Nel dicembre del 1930 un episodio mise a rischio il completamento del progetto. Una ribellione dei lavoratori causò la devastazione di buona parte di Fordlandia. Addirittura l’insurrezione costrinse i dirigenti a fuggire via per non essere linciati. Quando sembrava che la fine del sogno proibito fosse giunta, Ford pescò dal cilindro uno dei suoi più validi collaboratori: Archibald Johnston.

Fordlandia pianta da gomma

In qualità di nuovo manager, Johnston fece tornare fra i ranghi i riottosi e guidò con personalità la ripresa dei lavori. Sotto il nuovo responsabile, Fordlandia sembrò davvero avvicinarsi all’ideale fordista. Nuove strade e nuovi edifici arricchirono l’insediamento; regole più permissive e l’allentamento dell’oppressione fecero sì che i tempi di costruzione si accorciassero. I benefici della vita statunitense divennero una prerogativa comune all’interno della città. Riflesso di ciò fu la costruzione del moderno cinema in grado di trasmettere i film di Hollywood ogni settimana.

Una favola insomma, anche se permaneva una problema, forse il più grande di tutti: Fordlandia ancora non produceva gomma. Senza entrare troppo nello specifico, bisogna comprendere come le piantagioni di gomma (Hevea brasiliensis) non sono facilmente standardizzabili. Perciò è la fortuna o semmai la pazienza, più che la programmazione, a poter generare risultati sul campo della produzione. I pochi alberi che posero le radici finirono presto vittime dei parassiti amazzonici. Ancora una volta Henry Ford chiamò alla sua “corte” un esperto botanico, James R. Weir, che non fece molto se non costruire un secondo stabilimento, chiamato Belterra, per poi andarsene senza dire niente a nessuno.

Fordlandia

Ormai la logica economica di Fordlandia e Belterra era superata, ma non per questo la loro esistenza cessò nell’immediato. L’industria automobilistica di Ford fu coinvolta nello sforzo bellico e le ricadute di ciò furono evidenti anche in Brasile. Il territorio della holding sudamericana divenne una base militare a stelle e strisce per l’intera durata della guerra. Con la fine del conflitto, la salute di Henry Ford peggiorò e l’intera baracca fu affidata all’omonimo nipote. Quest’ultimo non ci pensò due volte e tagliò i fondi per Fordlandia. Dal taglio alla vendita non passò moltissimo: il Brasile acquistò i 10.000 km² ad una frazione di quello che nonno Ford aveva speso tre decenni prima.

Di quel fallimento colossale restano tracce evidenti, fossili del Novecento che testimoniano l’avventatezza di un progetto tanto ottimista quanto impraticabile. Fordlandia fece fiasco per innumerevoli motivi: mancanza di comprensione ambientale, assenza di progettazione logistica, conflittualità culturale, ma anche sfortuna. Negli anni ’30 la gomma sintetica rese meno necessaria la produzione intensiva di gomma naturale. Oggi, Fordlandia è una città fantasma, simbolo di eccessive e costose ambizioni e della mancanza di adattamento culturale e ambientale. Rappresenta uno dei più grandi fallimenti aziendali del XX secolo – costò a Ford quasi più di un miliardo di dollari – ma è anche un affascinante capitolo della storia contemporanea.