Storia Che Passione
Nel mirino del Cecchino: Grande Guerra, grandi distanze 1914-1918

Nel mirino del Cecchino: Grande Guerra, grandi distanze (1914-1918)

Secondo capitolo della serie dedicata all’evoluzione del cecchino, termine da intendere a tutto tondo. In questa sede analizzeremo la totale trasformazione del ruolo in tempo di battaglia, il suo speciale inquadramento e tutte le innovazioni a cui progressivamente va incontro. Perché essere tiratore scelto durante gli anni che vanno dal 1914 al 1918, nella fattispecie tra le luride trincee dei diversi fronti è di per sé un’esperienza da non poter intendere attraverso paradigmi semplicistici e uniformanti. Tuttavia, la suddetta prerogativa appartenne unicamente all’esercito del Kaiser, almeno fino al 1916.

In questa nuova guerra – dove per “nuova” si intende una vastità di rivoluzioni che spaziano dalla logistica all’arruolamento, dalle tecnica d’approccio alla tecnologia bellica, dall’esperienza sensibile della vita di trincea all’orgoglio nazionalistico presto spazzato via dall’impalpabilità della morte, ritenuta ordinaria e quindi normalizzata – il cecchino nei primi due anni parla tedesco. Ha senso, perché il Secondo Reich detiene il monopolio mondiale della produzione industriale del vetro ottico. Verissimo, anche se manca completamente un’idea di standardizzazione per quanto riguarda il montaggio dei mirini ottici sulle armi. Alcuni fucili in dotazione si prestano meglio di altri. Ed ecco che si eleva sopra gli altri la sagoma del Gewehr 98, principe letale delle lunghe distanze.

A maneggiare questi fucili dotati di cannocchiale sono uomini con conclamata esperienza. Perciò guardiacaccia, cacciatori e iscritti ai vari club di tiro (di cui la Germania pre-guerra era piena). Uomini che entrano nello scenario bellico forti di un addestramento specialistico, attraverso il quale vengono introdotti concetti chiave come: distanza e angolo di tiro, condizioni atmosferiche avverse o favorevoli, altitudine, temperatura, respiro. Il cecchinaggio diventa questione di minuzie, ma sono i piccoli dettagli a fare la differenza. Come sono i fori sugli elmetti anglo/francesi a far preoccupare il vertice militare dell’Intesa. Nei primi tempi si pensava che i colpi tedeschi fossero solo fortuna, casualità. Tuttavia, quando tra le mani inglesi o francesi finirono i primi Gewehr 98 con cannocchiale, tutto divenne maledettamente chiaro.

Gli stessi italiani sulle Alpi orientali, sperimentarono quella “strana, quasi casuale” efficacia dei colpi austroungarici. Ufficiali, sentinelle, ricognitori, bersagli d’interesse per gli sniper dell’imperatore Francesco Giuseppe (Franz Joseph, italianizzato diventa “Cecco Beppe” e di conseguenza “cecchino“; così nasce il termine riferito ai soldati in divisa austroungarica) che proprio non ne sbagliano una. Anche qui, dal 1915 c’è lo zampino tedesco, i quali riforniscono i cugini dell’Alpenkorps. Tuttavia la catena bellica imperiale prevede la produzione di un proprio fucile da cecchino, l’M95 ad ottica laterale (stimati 20.000 esemplari al 1918). Sull’altro lato della montagna, a partire dal 1916, il Regio Esercito iniziò a dotarsi di altrettante carabine di precisione. L’adattamento iniziale fu difficilmente; in Italia, a differenza degli altri paesi più nordici, i cacciatori non sapevano neppure lontanamente cosa fosse un mirino ottico. Inoltre l’industria, come per altri aspetti, era di vent’anni indietro rispetto al corrispettivo mitteleuropeo.

Interessante notare come questa scarsa produzione di fucili di precisione comportò nel quartier generale italiano una sopravvalutazione dell’oggetto rispetto al tiratore. Uno dei manuali istruttivi, interni alla custodia del mirino ottico, riportava: “Ogni tiratore deve essere accompagnato da uno o più uomini che, nel caso che il tiratore rimanga ferito, riportino il fucile al Comandante la compagnia”. Chiaramente valeva più un’ottica che la vita di un soldato. Comunque sia, presto tutte le forze in campo compresero come un lavoro ben svolto da parte del tiratore scelto comportasse una certa libertà di movimento all’interno del settore. Era buon costume sparare un colpo e cambiare postazione per non farsi scoprire. Ciò trasformò i cecchini in soldati solitari, fugaci, fantasmi del tramonto o spifferi dell’alba.

Iniziò a strutturarsi una fama quasi mitica, che per forza di cose si sposava con leggende metropolitane e la solita scaramanzia. Ad esempio tra i reparti della BEF (British Expeditionary Force) si impose la regola/divieto delle “tre sigarette“. Portava male fumare per tre volte consecutivamente, perché alla prima il cecchino avrebbe intuito la posizione del malcapitato, alla seconda avrebbe corretto l’angolo di tiro, alle terza… Beh, la terza sarebbe stata l’ultima.

In sede di conclusione, ci tengo a dire come se in tutta questa narrazione manchi l’attore russo non è per via di una personale svista. Curioso tra l’altro; la produzione bellica zarista ignorò completamente la strada dell’ottica. Non significa che i tiratori scelti non gravitassero nelle fila russe, ma che disponessero di soli fucili di produzione straniera. Curioso, dicevo, perché all’alba della Seconda Guerra Mondiale mentre tutti abbandoneranno la via del tiratore scelto, l’Unione Sovietica sarà l’unica tra le “Grandi” ad avvalersi di reparti unicamente composti da cecchini. Non a caso i più letali del secondo conflitto mondiale avranno una stella rossa sul copricapo.

(Parte I, Parte III, Parte IV).