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I primi souvenir della storia: le ampolle

I primi souvenir della storia: le ampolle

Quelle piccole borracce d’argilla, dall’aspetto quasi dismesso, senz’altro minimale e semplice, alle quali ci riferiamo col termine di “ampolle“, celano una storia abbastanza importante; la storia dei primi souvenir a circolare in un’Europa cristiana, attraversata da pellegrini e viandanti. Perché non spendere due parole su questo tema – a mio modesto parere abbastanza curioso – spesso ignorato? D’altronde il tema delle ampolle (poi ampolle del pellegrino) è uno degli esempi più affascinanti di come la devozione popolare si sia tradotta, fin dall’alto Medioevo, in oggetti concreti e tangibili capaci di racchiudere la fede e renderla “portabile”.

I primi souvenir della storia: le ampolle

Le prime attestazioni compaiono nel IV secolo, periodo in cui i pellegrinaggi ai luoghi santi iniziarono a diffondersi capillarmente, caricandosi di una forte dimensione taumaturgica. Non era soltanto il desiderio di preghiera o di espiazione a muovere le folle, ma anche la speranza concreta di ottenere guarigioni o miracoli. Le ampolle, piccole e poco costose, rispondevano perfettamente a questa esigenza. Potevano contenere olio benedetto, acqua, terra o altri residui provenienti da un santuario, divenendo così degli autentici “condensatori di sacralità”. Passatemi il termine. Il fedele, portando con sé quell’oggetto, si sentiva protetto e legato al santo anche lontano dal luogo della reliquia.

La produzione era seriale. Uno stampo in argilla permetteva di ottenere rapidamente recipienti dal corpo piatto, circolare, con due manici che li rendevano facilmente appendibili al collo o alla cintura. Non superavano quasi mai i 10 o 15 cm, e proprio per la loro modestia erano accessibili a pellegrini di ogni ceto. Ma nonostante la loro semplicità, custodivano un potere enorme, perché agivano da interfaccia tra il fedele e il divino.

ampolle pellegrino in viaggio

Un ruolo centrale, nella storia di questi manufatti, fu svolto dal culto di San Mena, soldato romano martirizzato in Egitto alla fine del III secolo. Sulla sua tomba, a sud-ovest di Alessandria, sorse uno dei più importanti centri di pellegrinaggio del Mediterraneo orientale, noto come Abu Mena. Proprio da lì provenivano gran parte delle ampolle ritrovate in siti archeologici anche molto lontani, inclusa la penisola iberica.

Queste ampolle raffiguravano spesso il santo a figura intera, con le braccia alzate in preghiera, affiancato talvolta da due cammelli. L’iconografia rimandava a un episodio leggendario: i cammelli incaricati di trasportare il corpo del martire si sarebbero rifiutati di proseguire, costringendo così i compagni a seppellirlo nel punto che sarebbe poi diventato santuario. Quel dettaglio visivo, inciso nella terracotta, collegava il pellegrino non solo al santo, ma anche alla memoria stessa del miracolo fondativo del culto.

ampolle Abu Mena Egitto

La fortuna delle ampolle di San Mena dimostra come questi oggetti viaggiassero con i fedeli, diffondendo simboli e iconografie comuni dall’Egitto fino alla Spagna visigota, attraversando il Mediterraneo cristiano. Si trattava di veri souvenir, nel senso etimologico del termine. Oggetti per “ricordare”, ma anche per rendere presente, ovunque ci si trovasse, la potenza del santo. Non a caso la loro funzione era duplice, tanto amuleto spirituale quanto talismano terapeutico.

ampolle di San Mena

Con l’espansione dell’Islam e la caduta di Alessandria, il centro di Abu Mena decadde, ma la memoria delle sue ampolle restò impressa a lungo. Ancora oggi gli scavi archeologici restituiscono testimonianze di quell’antico fervore. È significativo che i resti del complesso siano oggi patrimonio UNESCO. Un riconoscimento che non riguarda solo le pietre del santuario, ma l’universo di credenze che da lì si irradiò e che trovò forma concreta in piccoli recipienti di argilla, capaci di trasformare la fede in un oggetto quotidiano, intimo e tangibile.