Almanacco del 30 dicembre, anno 1066: si verifica il massacro di Granada, un vero e proprio pogrom antiebraico, scaturito dall’odio della popolazione musulmana per il visir ebreo Yūsuf ibn Naghrīla, effettivo uomo al comando del principato granadino. L’ecatombe del 1066 è ricordata per essere la più efferata – per modalità e numero probabile di vittime – della storia di al-Andalus.

Yūsuf ibn Naghrīla era nato a Granada nel 1035. Discendeva da una famiglia di ebrei che aveva espresso svariati rabbini. Anche suo padre lo fu e, alla morte di quest’ultimo nel 1056, Yūsuf ne prese il posto. Le cronache andaluse (tanto quelle ebraiche quanto quelle musulmane) ci dicono come, almeno all’inizio, Yūsuf non facesse dell’elemento religioso un segno distintivo della sua politica. Esatto, politica, poiché l’emiro ziride (dinastia berbera proveniente dall’odierna Algeria) Bādīs ibn Ḥabūs lo scelse come visir.
Si materializzò un contesto in cui l’uomo all’effettivo comando della taifa di Granada, sorta dalle ceneri dell’imploso Califfato di Cordova, era ebreo. Non fu un caso isolato; ad essere eccezionale, invece, fu l’avvento della violenza interreligiosa, concretizzatasi il 30 dicembre 1066.

Le fonti musulmane sostengono che Yūsuf ibn Naghrīla lasciò da parte quel suo modo di fare “laico”, incentrando il governo della taifa granadina sulla minoranza ebraica. Agevolò i correligionari delegando incarichi prestigiosi nell’amministrazione e nell’apparato economico. I musulmani già impegnati nella burocrazia non sopportarono questa prevaricazione e nel dicembre del 1066, quando seppero di un complotto orchestrato dal gran consigliere per consegnare la città al vicino emiro di Almería (restando però all’apice del potere), fomentarono la rivolta contro il visir.
Inferocita, la folla assaltò il palazzo dell’emiro nella cittadella antica di Granada. Sfondarono l’ingresso e si riversarono nei corridoi dell’edificio come un fiume in piena. Dopo una breve ricerca, trovarono il visir annerito nel volto: aveva cercato di camuffare la propria identità cospargendosi col carbone la pelle. Lo linciarono e poi lo crocifissero. Caduto lui, toccò al resto della minoranza. In migliaia morirono assassinati. Stime successive sostengono 1.500 capi famiglia e circa 4.000 persone comuni.

Cosa accadde dopo il massacro del 30 dicembre 1066 è facile intuirlo. L’effetto più diretto fu la fine dell’influenza politica ebraica nel governo ziride. Gli ebrei superstiti abbandonarono Granada e si rifugiarono sotto la protezione di altre taifas, come Siviglia, la già citata Almería, o Saragozza. Tuttavia anche l’autorità ziride uscì gravemente delegittimata, soprattutto agli occhi delle élite, influenti a corte e incisive nel tessuto socio-economico locale.
Il massacro di Granada è spesso interpretato come sintomo della crisi strutturale dei regni di taifa. Sintomo che evolverà il cronico collasso di lì a qualche decennio. Un quarto di secolo dopo, nel 1090, gli Almoravidi faranno la loro comparsa nella penisola iberica. A Granada deposero l’ultimo emiro ziride, installando il loro governo.




