Dal 739 al 743 una serie di eventi scossero profondamente il Nord Africa. Non solo turbarono una quiete che forse non era mai davvero esistita, almeno da quando il califfato omayyade aveva imposto con fermezza la sua autorità, ma andarono a mutare radicalmente la storia della regione, la quale superò il quinquennio al modico prezzo di una totale trasformazione sociale e politica. La storiografia occidentale purtroppo tace sull’importanza di questo evento, stranamente considerato lontano anche se si parla di un qualcosa accaduto a circa 370 km dalle coste siciliane. E invece della Grande rivolta berbera si dovrebbe discutere eccome, data la portata storica del conflitto e le sue conseguenze sia nell’immediato che sul medio-lungo periodo.

Una storia come tutte le altre, direbbe qualcuno, ma pur sempre di storia si tratta. Se pensate che l’affermazione ricada nel campo della banalità, vi basti notare la scarsa attenzione che l’argomento ha suscitato nei secoli per ricredervi all’istante.
L’espansione arabo-islamica, subitanea e impattante, poté verificarsi ad occidente con quell’intensità anche e soprattutto grazie al contributo di alcune popolazioni indigene: vedasi i berberi. I vertici militari arabi non sempre riconobbero il tributo di sangue versato dai berberi per la riuscita delle loro operazioni ad ovest. Anzi, spesso le autorità califfali non retribuirono dovutamente l’elemento indigeno, neppure alla luce della conversione alla nuova fede. I berberi convertiti erano quasi a tutti gli effetti musulmani di seconda serie. Come tali furono chiamati a rispettare la tassazione prevista per i dhimmi (i non-musulmani entro i territori sottoposti alla Shari’a, la normativa coranica). Ciò contravveniva completamente alla legge islamica eppure fu una tendenza riscontrabile in tutto il secolo omayyade.

Questa più altre forme di tributo e aspetti riconducibili a delle pratiche discriminatorie fecero esplodere le tensioni tra berberi e arabi. I propagandisti kharigiti fomentarono il malcontento, soprattutto a partire dagli anni ’20 dell’VIII secolo. Cosa predicava il Khagirismo? Per farla breve, si può dire come questo ramo dell’Islam, radicale per il pensiero del tempo, aspirasse ad un nuovo ordine islamico coerente con la Shari’a, in cui i sudditi musulmani avrebbero sperimentato una completa ed omogenea uguaglianza, senza distinzioni di etnia, lingua o estrazione sociale. Non serve un genio per comprendere il grado di compiacimento che questo messaggio suscitò nelle tribù berbere.
A cavallo tra anni ’20 e ’30 dell’VIII secolo cominciarono a verificarsi i primi disordini nell’Ifriqiya (l’ex provincia romana, oggi comprendente Tunisia e la libica Tripolitania). Ammutinamenti dei berberi nelle guarnigioni militari, atti sovversivi a dispetto dell’amministrazione califfale e attentati vari aizzarono la ribellione.

Come se non bastasse, eventi esterni e apparentemente slegati fra loro peggiorarono la condizione dei berberi. Il fallimento dell’incursione in Gallia del 732-737 (quella di Poitiers e di Carlo Martello per capirci) e il parallelo insuccesso degli eserciti omayyadi in Khorasan e Transoxiana costrinsero Damasco a prendere provvedimenti. Con l’intento di rimpolpare l’erario, si decise per un aumento delle tasse. Non la presero benissimo in Africa settentrionale…
Stanche dell’oppressione, le tribù berbere dell’Africa occidentale diedero vita ad un’insurrezione armata nel 739. L’evento passerà alla storia come Grande rivolta berbera. Le tribù scelsero come leader Maysara al-Matghari: per la tradizione un umile venditore d’acqua; per tutti gli altri con un po’ di sale in zucca, uno dei capi tribali più potenti del Maghreb. Sotto Maysara al-Matghari le truppe ribelli conquistarono diversi capoluoghi importanti tra lo stretto di Gibilterra e la valle del Sūs. Ad esempio, Tangeri fu una delle prime città a cadere. Si dice che durante quelle prime settimane di ostilità, anche per via dello slancio acquisito dalle armate ribelli, Maysara avesse assunto il titolo di Amīr al-muʾminīn, letteralmente “Comandante dei fedeli”, equiparandosi ad un califfo.

La gloria per il nostro “Comandante dei fedeli” durò veramente poco. Scegliendo di ritirarsi invece di affrontare un piccolissimo esercito fedele a Damasco, si inimicò quasi tutti gli altri capi tribù. Quest’ultimi si riunirono e misero in atto un colpo di mano, con cui destituirono (e giustiziarono) Maysara e proclamarono come nuovo califfo berbero Khālid b. Ḥamīd al-Zanātī. A quanto pare fu una scelta oculata per il prosieguo della Grande rivolta berbera. Il pugno duro di Khālid e la sua salda guida fomentarono ancora una volta i berberi, i quali furono in grado di affrontare e sconfiggere le truppe omayyadi nella famosa battaglia dei nobili, avvenuta alla fine del 740. L’episodio è abbastanza noto perché nello scontro persero la vita i più alti aristocratici dell’Ifriqiya in mano al califfato omayyade.
Altra leggenda vuole che il califfo Hishām, nella sua corte di Damasco, all’udire l’eco del disastro militare esclamasse: “Per Dio, scatenerò contro di loro certamente il furore, e manderò contro di loro un esercito la cui testa comincerà lì dove essi si trovano e la cui coda sarà qui dove io mi trovo!”.

Il decimo califfo degli Omayyadi era un uomo di parola. Spedì in Africa nord-occidentale un’esercito di circa 70/80.000 uomini, per lo più siriani e arabi del nord. Mentre i berberi sotto il comando di Khālid erano molti di più (anche se non 200.000, numero inimmaginabile che pure le fonti riportano). Finalmente quella che sembrò essere la resa dei conti si tenne sulle rive del fiume Sebou, nel Medio Atlante marocchino. La battaglia di Baqdura rappresentò la massima disfatta subita dal califfato fino ad allora. Un singolo dato: due terzi del corpo di spedizione arabo-siriano venne eliminato o fatto prigioniero. Circa 10.000 siriani riuscirono a fuggire in al-Andalus.
E qui si apre un grande mistero della storia in questione. Dopo aver vinto due grandissime battaglie, quella dei nobili e quella di Baqdura, il condottiero Khālid della tribù zanati misteriosamente scompare dalle cronache. Non sappiamo che ne fu di lui, della sua opera successiva, ma possiamo sapere che ne fu della sua eredità. Dopo il successo militare, l’esperienza della Grande rivolta berbera andò via via scemando. Gli Omayyadi inviarono rinforzi nella regione, riconquistando alcune roccaforti strategiche e mettendo sotto scacco qualche tribù berbera. Ciò tuttavia non si tradusse mai in una schiacciante vittoria contro i ribelli, anzi. Gli scontri si allargarono anche alla penisola iberica, mentre il Maghreb occidentale divenne il terreno in cui si istituirono potentati indipendenti dall’autorità califfale.

L’ideologia kharigita si radicò in molte comunità berbere, lasciando un’impronta duratura sulle credenze religiose della regione. La rivolta si concluse nel 743. Per Damasco e per l’Islam unito fu un trauma senza precedenti. Non solo gli Omayyadi non riusciranno più a rimpadronirsi di quei territori perduti, ma non avranno la possibilità di farlo neppure gli Abbasidi. Talvolta con qualche pretesa storica di troppo, la Grande rivolta berbera è considerata come il punto d’inizio dell’indipendenza marocchina. Certamente si cade nell’esagerazione e nella semplificazione più spavalda, ma un fondo di verità c’è.