Storia Che Passione
Foto del giorno: il sorriso d'oro di Nino Benvenuti

Foto del giorno: il sorriso d’oro di Nino Benvenuti

Fotografia di anonimo, Palazzo dello Sport, Roma, Italia, 5 settembre 1960. Questa fotografia, scattata il 5 settembre 1960 al Palazzo dello Sport di Roma, ferma un istante che è diventato eterno. Un giovane pugile italiano, il volto illuminato da un sorriso limpido e contagioso, riceve la medaglia d’oro olimpica dopo aver sconfitto il ceceno Jurij Radonjak, pugile sovietico coriaceo come pochi altri. Radonjak combatte bene, mette tutto quello che ha, ma quel giorno il destino non gli appartiene: a vincere è Giovanni “Nino” Benvenuti, che da quel momento per tutti sarà soltanto Nino, simbolo di un’Italia che sa rialzarsi, ma che sa anche sorridere.

Foto del giorno: il sorriso d'oro di Nino Benvenuti

In quello scatto non c’è solo la gioia di un atleta: c’è la storia di una vita. Benvenuti porta al collo la medaglia olimpica, ma nel cuore porta i segni di un’infanzia segnata dalla guerra e dall’esilio. Nato a Isola d’Istria nel 1938, figlio di Fernando e Dora, Nino cresce in una famiglia solida e unita, temprata dalla fatica ma ricca di dignità. Il padre, commerciante intraprendente e appassionato di pugilato, gli trasmette la passione per lo sport. La madre, colta e bellissima, è l’anima della casa, capace di tenere insieme cinque figli insegnando rispetto e disciplina.

Ma la storia, che delle volte sa essere crudele, bussa presto alla porta. Negli anni del dopoguerra, mentre l’Istria passa sotto il controllo jugoslavo, gli italiani che vi abitano diventano bersaglio di persecuzioni. I Benvenuti resistono finché possono, ma quando il figlio maggiore, Eliano, viene arrestato e tenuto in carcere per mesi solo per la sua italianità, comprendono che il tempo di partire è arrivato. Lasciano tutto: la casa, i campi, le radici. Passano a Trieste, nella zona A sotto controllo alleato. È l’esodo istriano, con il suo carico di dolore e nostalgia che accompagnerà Nino per sempre.

Nino Benvenuti oro Roma 1960

La boxe entra presto nella sua vita. A 13 anni, in palestra, Nino comincia a sudare e a sognare. Forse non sapeva ancora bene cosa lo aspettasse; il ring diventa subito il suo mondo. E quei sogni, come scriveva Hugo Pratt, hanno la forza di realizzarsi se fatti a occhi aperti. Così, passo dopo passo, Benvenuti vince da dilettante: campione dei novizi nel 1954, poi campione italiano welter e superwelter negli anni successivi, fino a conquistare l’Europa.

La boxe gli indica la strada, ma la vita non smette di chiedere il conto. Nel 1956 la madre Dora muore improvvisamente a soli 46 anni, il cuore spezzato dalle troppe sofferenze. È una ferita che Nino porterà sempre con sé, e che probabilmente lo spinse a combattere con ancora più determinazione. Sul podio olimpico, quel 5 settembre 1960, il suo sorriso era anche per lei.

Nino Benvenuti vincitore pugile

Dopo Roma, Nino diventa professionista e la sua carriera si trasforma in leggenda. 82 vittorie su 90 incontri, titoli mondiali nei superwelter e nei medi, sempre unificati WBA e WBC. Ma più delle cifre rimangono le sfide memorabili. I duelli accesi con Sandro Mazzinghi, la trilogia americana con Emile Griffith, gli scontri epocali con Carlos Monzón, l’argentino devastante che riuscì a batterlo, sì, ma per ko tecnico, senza mai mandarlo al tappeto.

Sul ring Benvenuti fu campione, e lo fu anche al di fuori del quadrato. Con Griffith, dopo i colpi, nacque un’amicizia sincera che lo portò a stargli vicino negli anni oscuri della malattia. Anche con Monzón, travolto da una vita tormentata e finita in carcere per omicidio, seppe mantenere un rapporto umano. Più complessa la storia con Mazzinghi, rivale acerrimo, ma la vita alla fine li riunì nella stima reciproca e in un affetto tardivo.

Nino Benvenuti e Jake LaMotta

L’oro olimpico di Roma, Nino lo ha sempre detto, era il suo bene più prezioso. Un titolo lo puoi vincere, perdere e riconquistare, ma un oro olimpico rimane tuo per sempre. Quella medaglia non l’ha mai tolta, perché non era solo un premio sportivo, era il simbolo del riscatto, della fatica, dell’esilio, dell’amore di una madre e della forza di un ragazzo che seppe diventare uomo e campione senza perdere il sorriso.

E forse è proprio questo il lascito più grande di Nino Benvenuti. Non i pugni dati o presi, non i titoli conquistati, ma quel sorriso di Roma ’60, un sorriso che ha attraversato il tempo e che oggi racconta ancora la storia di un’Italia che si ritrovava in un giovane istriano, esule e vincente, capace di trasformare il dolore in forza e la forza in bellezza.

L’essenza dello sport in uno scatto, in un gesto, in un sorriso.