Noto soprattutto per la spedizione di Kon-Tiki, Thor Hayerdahl in realtà organizzò tantissime campagne e spedizioni in ogni angolo della Terra, non facendosi sfuggire nulla. Questa è la sua storia, la storia di un uomo che non si è mai fermato e che ha perseguito con tenacia ogni suo desiderio di scoperta.
Thor Heyerdahl, un uomo, mille spedizioni

Thor Heyerdahl nacque a Larvik, il 6 ottobre 1914 e morì ad Andora il 18 aprile 2002. Si laureò in Biologia, per poi specializzarsi presso l’Università di Oslo in Antropologia delle isole del Pacifico. Antropologo, archeologo, esploratore e regista, si dilettò nell’organizzare esplorazioni marittime con imbarcazioni rudimentali per dimostrare la sua tesi in merito ai viaggi transoceanici di antichi popoli.
Di sicuro la sua spedizione più famosa rimane quella di Kon-Tiki, di cui avevamo parlato in precedenza. Qui brevemente ricordiamo che l’idea era quella di attraversare l’Oceano Pacifico su una zattera fatta di legno di balsa, papiri e giunchi. Ci riuscì? Non proprio, una barriera corallina si mise in mezzo e la spedizione finì lì.
Ma nonostante Heyerdahl sia ricordato soprattutto per la spedizione di Kon-Tiki nel 1947, in realtà al suo attivo ne ebbe parecchie altre. Per esempio, nel 1937-1938 si dedicò alla Polinesia. Proprio qui udì da un vecchio indigeno delle leggende che avrebbero poi ispirato il viaggio in zattera qualche anno dopo. Comunque sia, qui conobbe Henry Lie, un residente di Fatu Hiva che gli fece vedere alcune statue di pietra simili ad altre trovate in precedenza in Colombia.
In teoria questa spedizione aveva lo scopo di capire come avessero fatto degli animali a raggiungere un’isola prima deserta. Scrisse anche un libro relativo a questo periodo.
Nel 1939 decise di partire per cercare una rotta che andasse dall’Asia alla Polinesia, magari trovando le prove di contatti fra le culture asiatiche, polinesiane e precolombiane.

Nel 1947 sappiamo che ci fu la missione Kon-Tiki, ma il suo esito non proprio felice non lo fece rimanere a terra a lungo. Nel 1952, visto che i detrattori delle sue teorie sostenevano che per raggiungere la Polinesia, le popolazioni sudamericane avrebbero prima dovuto far tappa alle Galapagos, isole disabitate e a cui nessun archeologo si era finora interessato, ecco che decise di andare sulle Galapagos.
In effetti dimostrò che proprio le Galapagos dovevano essere un punto di approdo comodo per navigatori precolombiani provenienti dalle Americhe. Qua trovò diverse abitazioni precolombiane e anche resti di vasi in ceramica preincaici provenienti dal Perù e dall’Ecuador.
Tre anni dopo, nel 1955, fu l’Isola di Pasqua ad attirare la sua attenzione. Visse a Rapa Nui per un anno, indagando le tecniche di costruzione e trasporto dei Moai. Fu lui a dimostrare che parecchi di essi erano sepolti dentro le colline e che erano molto più grandi di quanto ipotizzato.
Ma le sue scoperte non finirono qui. Oltre a sottolineare il fatto che in origine i maoi indossavano in testa una specie di copricapo rosso, fece notare che, secoli prima dell’arrivo degli Europei, l’isola era coperta da una vegetazione assai fitta.
Inoltre confutò anche le teorie secondo le quali un popolo primitivo non avrebbe potuto scolpire, erigere e trasportare statue di quelle dimensioni. Utilizzando una tecnica rudimentale, sei uomini in tre giorni riuscirono a scolpire una statua di tufo vulcanico pesante 12 tonnellate. Poi 180 uomini la trasportarono usando una slitta di legno e infine riuscirono a erigere una statua pesante 30 tonnellate usando uno specifico basamento di pietre.
Nel 1969 fu la volta di una spedizione a partenza dalla città fenicia di Safi, in Marocco. Costruì un’imbarcazione grazie a carpentieri del lago Ciad, la Ra, basata su anti progetti egizi che sfruttavano il papiro. Secondo lui quelle imbarcazioni egizie non potevano limitarsi a navigare solo sul Nilo. Solo che questa prima imbarcazione naufragò 56 giorni dopo la partenza.
Così, nel 1970, mise in cantiere la Ra II, questa volta costruita dagli amerindi del lago Titicaca. In 57 giorni riuscì a raggiungere l’isola di Barbados, partendo dal Nord America. E dimostrò ancora una volta che questi viaggi erano fattibili.
Nel 1977 percorse 6.800 km con una nave fatta di giunchi, dal fiume Tigri fino al Golfo Persico, recandosi poi nell’Oceano Indiano, attraversando la valle dell’Indo in Pakistan e giungendo a ovest fino all’imboccatura del Mar Rosso.
Dal 1981 al 1984 visse alle Maldive e qui trovò reperti che indicavano che le isole, duemila anni prima di Cristo, erano punto di passaggio per i naviganti che si recavano in India.
L‘Isola di Pasqua lo reclamò dal 1986 al 1987: qui confermò nuovamente le sue teorie sulle tecniche di costruzione dei maoi.

Nel 1988 si dedicò a studiare le piramidi di Tucume, in Perù. Poi dal 1992 al 1995 si occupò di alcuni scavi nelle isole Canarie, dimostrando che le piramidi di Guimar sono opera dell’uomo e non dei semplici ammassi di pietre.
Nel 2002 andò in Russia, ad Azov: cercava le origini dei Vichinghi. Tuttavia la sua salute a questo punto peggiorò a tal punto che dovette interrompere le ricerche. La sua vita di ricercatore sul campo era, purtroppo, finita. Viste le sue condizioni di salute precarie, acquistò una casetta a Colla Micheri, una frazione di Andora, nella riviera ligure. Ma godette poco della sua nuova casa: qui morì e fu seppellito il 18 aprile 2002. Anche se la Norvegia lo onorò con i funerali di Stato.