Storia Che Passione
Niels Bohr, padre della meccanica quantistica

Niels Bohr, padre della meccanica quantistica

Agli esordi del XX secolo, la fisica quantistica passò dall’essere una formulazione ipotetica nata dalle intuizioni del tedesco Max Planck ad una teoria fatta e finita, per la quale, se possibile, poter vincere un Nobel. Suddetta teoria determinava una scala dei fenomeni cosiddetti quantistici, da quanti, ossia “la quantità indivisibile; il valore più piccolo fisicamente possibile di una data grandezza variabile”. Il principio venne poi ripreso e aggiornato da Albert Einstein, questo nel 1905 per spiegare l’effetto fotoelettrico. Basandosi su questo gran circolare di brillanti idee, un giovane fisico originario di Copenaghen gettò le fondamenta per la comprensione della meccanica quantistica. Quella mente, da molti definita “d’oro”, apparteneva a Niels Bohr, l’unico essere umano che – almeno finora – ha contraddetto, e giustamente anche, Einstein.

Niels Bohr, padre della meccanica quantistica

Quella teoria quantistica, efficacemente introdotta da Planck e rimodulata da Einstein, era per l’epoca una congettura colma di paradossi. Si presupponeva infatti che le particelle si comportassero né più né meno come onde e che gli oggetti potessero esistere in più stati contemporaneamente. Essenzialmente, come sosteneva Bohr, il solo atto dell’osservazione del fenomeno modificava il fenomeno stesso. Una strana, stranissima realtà, che man mano divenne meno enigmatica e più cristallina grazie all’enorme sforzo scientifico di uomini come Bohr, i già citati Planck ed Einstein, Werner Heisenberg, Erwin Schrödinger e molti altri ancora.

Niels Henrik David Bohr (1885-1962), come troverete scritto un po’ ovunque, era senza ombra di dubbio quello che solitamente viene definito un enfant prodige del suo campo. A soli 21 anni ottenne la medaglia d’oro dell’Accademia reale danese per un geniale saggio di fisica, stracciando metaforicamente un primato familiare che papà Christian fece suo nel 1885 con uno scritto monografico sulla fisiologia. In quel caso il babbo si portò a casa la medaglia d’argento e, dinnanzi al prestigioso riconoscimento del figlio, commentò: «io sarò fatto d’argento, ma Niels è d’oro».

Niels Bohr meccanica quantistica

Valeva davvero Niels e lo dimostrò sin dalla giovanissima età. All’inizio del secondo decennio del Novecento, lavorò metodicamente sulla struttura dell’atomo. Conseguì il dottorato in Danimarca e volò in Inghilterra, affiancandosi prima a Sir J.J. Thomson – Nobel per la fisica nel 1906, scopritore dell’elettrone – e successivamente a Ernest Rutherford – altro premio Nobel, questa volta per la chimica, nel 1908.

Il soggiorno britannico fruttò e non poco alla ricerca accademica. Fu all’epoca che il fisico di Copenaghen dimostrò il personalissimo modello atomico (che sui libri di fisica trovate annotato come “Modello Atomico di Bohr“), riprendendo in parte da quello di Rutherford. Egli si accorse che la tavola periodica degli elementi (cioè l’insieme degli atomi ordinati per numero atomico) può essere spiegata partendo da un principio semplice: ogni atomo deve essere elettricamente neutro. Questo significa che il numero di cariche positive nel nucleo (i protoni) deve essere uguale al numero di elettroni negativi che girano intorno. Questa osservazione portò a scoperte molto importanti. Per esempio: se si toglie un “pezzo” dal nucleo (che poi sarà chiamato neutrone), l’atomo può diventare instabile. Gli atomi instabili sono chiamati isotopi radioattivi e possono emettere radiazioni (alfa, beta o gamma).

Niels Bohr da giovane

Erano le pietre miliari della meccanica quantistica, per le quali gli venne assegnato il Nobel per la fisica nel 1922. Un anno prima del prestigioso premio, Bohr tornò nella capitale danese, ove fondò l’Istituto di Fisica Teorica a Copenaghen. Convolò a nozze con l’amata Margrethe. Si circondò di geni del calibro di Max Born, Werner Heisenberg e Paul Dirac, con i quali diede avvio ad una collaborazione proficua. Ma se fino ad allora il nome di Bohr era associato all’omonimo modello atomico, nei primi anni ’20 questa percezione iniziò a mutare. L’eredità teorica dell’Istituto di Copenaghen fu un’altra, se vogliamo più rivoluzionaria. Fu in Danimarca che si scrissero pagine apicali della storia della meccanica quantistica. Non a caso, riprendendo quanto affermato dal duo Planck-Einstein sui quanti, s’impose all’attenzione accademica “l’interpretazione di Copenaghen“, rivelatrice di una nuova, e un po’ inquietante, visione d’insieme della realtà fisica e naturale.

Ed è qua che stava l’inghippo, almeno secondo Einstein. La teoria quantistica era sì plausibile, ma non esente da paradossi incredibili. Il genio tedesco poi naturalizzato statunitense osteggiava quelle posizioni, poiché le inquadrava nel regno delle sbiadite interpretazioni della realtà circostante. Si trascendeva dalla fisica, per riversarsi nella concezione filosofica del tutto: Dio non giocava a dadi con l’universo. Come a voler dire “il mondo non è governato da meccanismi casuali o probabilistici – appunto, giocare a dadi – ma da leggi deterministiche e precise”. Il tempo avrebbe dato ragione a Niels Bohr e torto ad Einstein.

Niels Bohr con Einstein

Finiti gli anni d’oro della fisica, iniziarono quelli per così dire “cupi”. Anni in cui si registrò un asservimento gerarchico delle intuizioni scientifiche alla machiavellica Ragion di Stato che, visti i tempi, combaciava con le esigenze belliche. L’avvento del nazionalsocialismo in Germania stravolse la vita di Bohr. Egli prima favorì l’espatrio di tutti i colleghi tedeschi dissidenti del regime totalitario, poi lasciò la sua Danimarca prima che fosse troppo tardi. Bohr era di origini ebraiche. Il Terzo Reich, ancor prima degli Stati Uniti, aveva compreso le implicazioni militari delle ricerche atomiche, e così richiese con una certa insistenza i servigi del fisico danese. Bohr fuggì a bordo di un peschereccio in Svezia, da qui prese un volo per l’Inghilterra e, facendosi chiamare Mr. Baker, raggiunse in modo rocambolesco gli USA. La destinazione finale fu Los Alamos, dove il Prometeo americano J. Robert Oppenheimer dava il benvenuto alla bomba atomica.

Non rientrava nella folta schiera di uomini di scienza che consideravano necessario l’uso violento dell’atomica per porre fine alla Seconda guerra mondiale. Prima di Hiroshima e Nagasaki, nel 1944, si recò personalmente nello Studio Ovale, al cospetto di Roosevelt, per convincerlo delle potenziali ricadute positive in caso di condivisione del segreto atomico con i sovietici. Nessuno volle ascoltarlo, nessuno voleva sentir parlare di pace, neppure dopo l’orrenda carneficina del conflitto all’epoca ancora in corso.

Niels Bohr padre della meccanica quantistica

Nel secondo dopoguerra se ne tornò nella sua Copenaghen, dove si spese per una ricerca votata all’uso pacifico dell’energia nucleare. I battibecchi a distanza con Albert Einstein proseguirono incessanti. Bohr con pazienza provò a spiegare all’eminente collega la struttura sulla quale si basavano le formulazioni quantistiche, ne difese la coerenza il successo sperimentale. Da quell’incontro/scontro non poté che uscirne il meglio, da ambo le parti.

Nel 1955, quando Albert Einstein venne a mancare, fu proprio Niels Bohr a pronunciare il più accorato dei discorsi di commiato. Il 17 novembre 1962, rilasciò un’intervista su quella diatriba costruttiva, dopo di che si sedette a tavola per il pranzo domenicale; terminato quest’ultimo si recò a letto. Non si sarebbe mai più risvegliato. Sulla sua lavagna personale campeggiava ancora il disegno a gesso dell’esperimento mentale di Einstein della “scatola di luce”, ideato anni prima per mettere in discussione le colonne teoriche della quantistica. L’immagine era di per sé emblematica del genio di Bohr e non solo. Rappresentava la dedizione dell’uomo e del fisico, l’abnegazione per la ricerca.

Per concludere, era un monito per le generazioni future: bisogna arrendersi alla complessità della realtà circostante, che quando pare chiara e tangibile, in realtà è per sua natura controintuitiva e sviante. Complessità che chiama altra complessità, perché è così che funziona la vita. Ma è grazie al sapere, in tutte le sue forme, che “difficile” diventa sinonimo di “piacevole”. Bohr lo sapeva; noi lo sappiamo grazie a sforzi titanici compiuti da persone come lui.