Ne I deipnosofisti, opera scritta da Ateneo di Naucrati nel II secolo d.C., si fa riferimento ad una nave dalla storia leggendaria e dal nome evocativo: Syrakósia. Questa fu progettata – pensate un po’ – da Archimede in persona. Idee che si tramutarono in concreta realtà grazie al raffinato tocco di Archia di Corinto, ingegnere ellenico fra i più rinomati della sua epoca. Considerata come la più grande imbarcazione mai costruita nell’antichità, la Syrakósia o Nave di Archimede fu un capolavoro dell’ingegneria navale dell’età classica. Perché si volle dare vita ad un qualcosa di così immenso, simile più ad una città galleggiante che ad un’imbarcazione?

La risposta, per quanto poco chiara, è da ricondurre alla persona di Gerone II, tiranno di Siracusa. Non sappiamo esattamente perché il tiranno desiderò così tanto l’equivalente antico del Titanic, ma un’idea possiamo farcela. Forse Gerone volle dare sfoggio della sua grandezza, delle capacità economiche e ingegneristiche dei siracusani. Probabilmente sì, e se queste fossero state le prerogative della nave, beh, le rispettò in pieno.

Ben 110 ipotetici metri di lunghezza (altre fonti dicono 130 m); capacità di carico pari a 2.000 tonnellate; non più di 500 uomini potevano viaggiare a bordo. Un “mostro” in grado di solcare, anzi, di sovrastare le acque del Mediterraneo. Nel progetto ideato tra il 250 e il 240 a.C. Archimede mise un po’ di tutto. Oltre agli ambienti tipici di una nave, pensò ad una biblioteca, dei bagni, giardini pensili, persino un tempietto dedicato ad Afrodite.

La Syrakósia doveva svolgere tanto una funzione di trasporto (una specie di crociera ante litteram), quanto una più prettamente difensiva. In tal senso il duo Archimede-Archia diede vita ad otto torrioni difensivi, palizzate varie e, ciliegina sulla torta, dotò la nave di una balista in grado di scagliare dardi pesanti fino a 90 kg. Per muovere un simile prodigio si stima ci volessero all’incirca 2.000 rematori, posti su tre file d’ordine. Inoltre su di essa svettavano grandi alberi dotati di gigantesche vele. Per svuotare le sentine il suo progettista impiegò lo strumento che da lui prendeva il nome: la vite idraulica di Archimede.

Ateneo di Naucrati scrisse a cinque secoli di distanza dalla realizzazione della Syrakósia, perciò potrebbe aver ingigantito qualche dettaglio. Ma anche se la nave fosse stata la metà di quella descritta nei racconti, avrebbe comunque impressionato i coevi. Nessun porto siciliano poteva ospitare il gigante navale, perciò Gerone fece in fretta a disfarsene. Vista la carestia che stava falcidiando l’Egitto dei Tolomei, il tiranno di Siracusa riempì la nave di grano e la spedì come dono a Tolomeo III.

Il sovrano ellenistico la ricevette ad Alessandria e in onore della città ribattezzò quella meraviglia dell’ingegneria navale Alexandreia (dal greco Αλεξάνδρεια, letteralmente “di Alessandria”). Dopo questa scelta, si persero nella storia le tracce della Syrakósia. Molto probabilmente fu smantellata per ricavarne pezzi di ricambio. Ma la certezza è che la creatura di Archimede, la più grande nave che abbia mai solcato il Mediterraneo in tutta l’antichità, terminò alla foce del Nilo la sua vita.