All’inizio del XX secolo il mondo occidentale visse la curiosa, e per certi versi inquietante, ossessione collettiva per la “purezza intestinale”. Era quella un’epoca segnata dall’ascesa della medicina moderna, è vero, eppure ancora profondamente influenzata da credenze pseudoscientifiche. Così milioni di persone (nessuno escluso, dai borghesi ai più indigenti, passando per la classe media e l’aristocrazia) finirono per convincersi che la salute, la bellezza e persino la moralità dipendessero dalla regolarità delle funzioni intestinali. Fu quella che gli storici della medicina hanno poi definito la mania dei lassativi, un fenomeno culturale e commerciale che trasformò i purganti in una vera e propria febbre globale.

L’idea di fondo non nacque dal nulla. Già a partire dalla fine del XIX secolo, alcuni medici europei e americani avevano iniziato a sostenere la “teoria dell’auto-intossicazione intestinale“. Seguitemi, perché questa teoria è incredibile. Secondo la concezione, i rifiuti trattenuti nell’intestino producevano tossine che, assorbite dal corpo, avvelenavano lentamente l’organismo. Dunque la causa di ogni male divenne la stitichezza. La colpevole numero uno, la radice di ogni malessere. Dalla spossatezza alla depressione (malinconia, se vogliamo dirla con termini cari a quell’epoca), passando per i disturbi cutanei e le malattie cardiache; tutta stramaledetta colpa del blocco intestinale.
Uno dei principali promotori di questa teoria fu il chirurgo scozzese Sir William Arbuthnot Lane. Pensate un po’: egli arrivò addirittura a praticare interventi chirurgici per rimuovere parte del colon, convinto che fosse un focolaio di veleno interno. Sulla base di un’interpretazione esagerata delle sue teorie – non del tutto campate in aria, anzi, il contrario – si sviluppò un vero e proprio pensiero medico-filosofico, incentrato sulla “igiene del colon”. In poche parole, alcuni si convinsero di doversi purificare regolarmente. Come? Ma semplice! Con clisteri, purghe e diete depurative.

L’industria farmaceutica e pubblicitaria colse al volo questa nuova ossessione. Dalla fine dell’Ottocento, prodotti come l’olio di ricino, i sali di Epsom (magnesio solfato) e le pastiglie alla fenolftaleina invasero il mercato, promettendo salute, energia e una vita “libera dalle tossine”. Le case farmaceutiche costruirono intorno a questi rimedi un’immensa macchina promozionale. Come accade oggi, ma con altri prodotti, a voler fare un parallelo. E quindi giù di pubblicità (sui giornali però) che mostravano persone allegre e in forma dopo la “purificazione”. C’era poi spazio per la predica, visto che negli stessi giornali si ammonivano i lettori che osavano trattenere i propri “rifiuti”, fornendo un assist al bacio a malattie potenzialmente mortali.
Negli Stati Uniti, marchi come Carter’s Little Liver Pills, Phillips’ Milk of Magnesia o Ex-Lax divennero nomi familiari in ogni casa. Alcuni prodotti arrivarono a essere raccomandati anche ai bambini e alle donne in gravidanza. La pubblicità univa promesse mediche e morali: un corpo “pulito” era segno di disciplina, equilibrio e rettitudine. Un eco diretto del puritanesimo americano che associava la regolarità fisica a quella spirituale.

Hollywood, poi, diede il colpo di grazia. Molte celebrità del cinema muto e delle prime produzioni sonore apparivano nei giornali lodando i benefici dei lassativi. Essere “leggeri” e “in forma” significava essere belli davanti alla macchina da presa. Dietro le apparenze salutistiche, però, si celava una realtà più pericolosa. L’abuso di lassativi provocava gravi disidratazioni, alterazioni elettrolitiche, malassorbimento dei nutrienti e, nei casi peggiori, dipendenza intestinale. Insomma, l’intestino, abituato alla stimolazione chimica, perdeva la capacità di funzionare da solo.

La fenolftaleina, introdotta come lassativo chimico “moderno” e presente in centinaia di prodotti, divenne un simbolo di questa contraddizione. Solo negli anni ’70 del Novecento si scoprì che la sostanza era potenzialmente cancerogena e venne ritirata dal mercato. Ma già decenni prima la medicina scientifica aveva iniziato a smontare la teoria dell’auto-intossicazione, rivelandone la totale infondatezza.

Con il progresso della fisiologia e della microbiologia, l’intestino cominciò a essere compreso in modo più realistico. Non più un “ricettacolo di veleni”, ma un organo complesso, dotato di una flora batterica essenziale per l’equilibrio dell’organismo. L’idea della “purificazione” come via per la salute venne progressivamente sostituita dal concetto di equilibrio intestinale e di alimentazione naturale. Tuttavia, la mania dei lassativi lasciò un’eredità culturale duratura. L’ossessione per la “pulizia interna” sopravvive ancora oggi in molte mode contemporanee. Pensiamo banalmente alle diete detox, o ai clisteri di caffè, o ancora alle colon-terapie. Tutti discendono, in fondo, da quell’antica convinzione che il corpo vada costantemente “ripulito” per essere sano.
La mania per i lassativi del primo Novecento fu, in definitiva, il riflesso di un’epoca di transizione. Tra la medicina empirica e quella scientifica, tra l’igiene come culto morale e la nascente industria del benessere.