Storia Che Passione
Foto del giorno: umani, prima di tutto

Foto del giorno: umani, prima di tutto

Fotografia di anonimo, Sarajevo, Jugoslavia, 1941. Questa fotografia ci ricorda una cosa, un dato di fatto che tendiamo a dimenticare, nonostante possa sembrare la più grande banalità mai detta: siamo umani, prima di ogni altra cosa. E come tali, siamo capaci di gesti di profonda umanità (come atti di disumana brutalità, il presente è indicativo in tal senso). Nello scatto si vede una donna musulmana, tale Zejneba Hardaga, camminare accanto all’amica Rivka Kabilio, un’ebrea bosniaca. Zejneba copre con il proprio velo la stella di David che Rivka era obbligata a portare sul cappotto, segno infamante imposto dagli occupanti tedeschi. Sullo sfondo, la città di Sarajevo continua la sua vita quotidiana. È ignara del fatto che quella scena racchiude una delle storie più straordinarie di amicizia, coraggio e fratellanza umana della guerra dell’Asse nei Balcani.

Foto del giorno: umani, prima di tutto

Nel 1941 le truppe della Wehrmacht invasero la Jugoslavia. Sarajevo cadde sotto il controllo del regime ustascia filonazista dello Stato Indipendente di Croazia. Le persecuzioni contro gli ebrei si fecero immediate: deportazioni, confische, e violenze divennero all’ordine del giorno.

In questo contesto, la famiglia Hardaga, musulmana e tradizionalista, viveva nella capitale bosniaca in una casa che condividevano i fratelli Mustafa e Izet con le rispettive mogli, Zejneba e Bahrija. I loro vicini e amici, gli ebrei Kabilio, gestivano una piccola fabbrica di tubi d’acciaio in un edificio di proprietà di Mustafa. Quando un bombardamento tedesco distrusse la casa dei Kabilio, Mustafa e Zejneba non esitarono a offrire loro rifugio, accogliendoli nella loro abitazione nonostante i rischi gravissimi che ciò comportava.

umani Sarajevo sotto occupazione 1941

Va ricordato che, per la famiglia Hardaga, fortemente osservante delle consuetudini islamiche, era contrario alle regole di modestia ospitare estranei maschi in casa. Le donne della famiglia, secondo la tradizione, dovevano velarsi davanti agli uomini non imparentati. Eppure, Mustafa decise che l’ospitalità e la pietà dovevano prevalere su qualsiasi formalismo religioso, dicendo alle donne di non coprirsi il volto in presenza degli ospiti ebrei. Umani, prima di tutto.

I rischi non tardarono a manifestarsi. In città comparvero cartelli che minacciavano la pena di morte a chiunque nascondesse o aiutasse ebrei. Tuttavia, i Hardaga continuarono a proteggere i Kabilio. Quando Josef Kabilio fu catturato e costretto ai lavori forzati, Zejneba lo riconobbe per strada, impegnato a spalare la neve come prigioniero, e iniziò ogni giorno a portargli cibo, spesso sufficiente per tutti i detenuti del gruppo.

Dopo essere riuscito a fuggire, Josef tornò a casa Hardaga, dove nuovamente lo accolsero e nascosero. Solo in seguito, temendo di mettere ulteriormente in pericolo i propri benefattori, decise di fuggire verso Mostar, sotto il controllo italiano. Lì gli ebrei godevano di una relativa sicurezza.

umani occupazione Asse Balcani

Quando la guerra terminò, la famiglia Kabilio tornò a Sarajevo, ospite ancora una volta dei loro salvatori. Tuttavia, una tragica notizia offuscò la gioia della liberazione. Infatti Ahmed Sadik, padre di Zejneba, morì giustiziato per aver nascosto un’altra famiglia ebrea, i Papo, amici dei Kabilio.

Dopo la guerra, i Kabilio emigrarono in Israele ma non dimenticarono mai i loro amici bosniaci. Negli anni ’80, si impegnarono affinché Yad Vashem riconoscesse Zejneba e Mustafa Hardaga, insieme ad Ahmed Sadik, come Giusti tra le Nazioni, titolo conferito a coloro che avevano salvato ebrei durante l’Olocausto a rischio della propria vita. Fu un riconoscimento storico: la famiglia Hardaga fu la prima famiglia musulmana a ricevere tale onorificenza.

umani famiglia Hardaga

Quando, negli anni ’90, la guerra civile scoppiò in Bosnia, la famiglia Kabilio – ormai stabilita in Israele – cercò di ricontattare Zejneba, preoccupata per la sua sorte. Grazie all’intervento dello Yad Vashem e del primo ministro israeliano Yitzhak Rabin, Zejneba e i suoi familiari furono evacuati da Sarajevo nel 1994 e accolti in Israele, dove si stabilirono a Gerusalemme.