Fotografia di K. Parker, El Tovar Point, Arizona, Stati Uniti d’America, 1914. Un uomo è seduto sull’orlo del precipizio; sotto di lui più di mezzo chilometro di vuoto. A fare da sfondo il paesaggio arido e suggestivo del Grand Canyon, in Arizona, famosissima perla naturalistica del sud-ovest americano. Presentati i due soggetti dominanti, manca il terzo, sul quale subito concentro la vostra attenzione: l’automobile. Si tratta di una Metz 22 Speedster, prodotta dalla statunitense Metz Company, con sede nel Massachussetts. La fotografia è originale, scevra da ritocchi, follemente genuina, eppure è parte di una campagna marketing con i fiocchi. Quella che segue è la sua storia.

C’era un’epoca in cui le case automobilistiche vivevano, prosperavano e morivano sulla base della loro capacità di fare affari, di sapersi vendere e di saper vendere (due facce della stessa medaglia). Per farlo, dovevano dar prova della loro affidabilità, nonché della tenuta dei loro prodotti di punta. Dunque si esagerava, poiché solo con l’enfasi e la caricatura si attirava l’attenzione di una clientela in progressiva crescita. Si esagerava, per l’appunto: ad esempio si prendeva una biposto da 22 cavalli, motore a quattro cilindri raffreddato ad acqua, e la si faceva salire su e giù per i pendii del Grand Canyon. Tutto avveniva in funzione dimostrativa: se sopravvive a ciò, allora questa macchina può davvero portarti ovunque (vieni a comprarla!).
Belle le brochure e le rassicurazioni inerenti le prestazioni della vettura, ma per vendere bene e tanto, case come la Metz Company, nata dall’intraprendenza affaristica di Charles Herman Metz nel 1909, dovevano inventarsi altro. L’onere ricadde sul signor L. Wing, direttore della filiale di Los Angeles. Egli nel 1914 programmò una spedizione che dalla città degli angeli, l’avrebbe condotto in Arizona, attraverso le sabbie roventi della Death Valley e le rocciose alture di ben tre catene montuose. Decise di farlo seguito da un giornalista, l’autore dello scatto odierno, a noi noto come K. Parker.

Mani sul volante, mappa sotto gli occhi e via. Una volta partiti, Wing e Parker impiegarono settimane e affrontarono deserti, strette gole montane, lunghi fiumi e sterrati proibitivi prima di raggiungere El Tovar Point, l’esatto luogo in cui venne scattata l’iconica fotografia. La Metz 22, valida compagna di viaggio, imperava sul bordo di quel micidiale precipizio.
Parker descrisse così l’istante: “C’era una parete scoscesa in quel punto, con un dislivello netto di oltre duemila piedi, e la sporgenza sporgeva in modo tale da permetterci di spingere la macchina fino al punto estremo… Ci è voluta molta grinta per guidare la macchina proprio verso quella caduta spaventosa. Il signor Wing… non ha frenato finché le ruote anteriori non sono state proprio sul bordo del precipizio”.
Magari appariva come un’esagerazione, un’iperbole potenzialmente fatale per egocentrici individui. Forse sì, ma sopra ogni cosa era una dimostrazione di grinta meccanica, scaturita dai roboanti giri di motore. Pochissimi veicoli potevano vantare una simile impresa: aver attraversato indenni il Grand Canyon.

La Metz Company tuttavia non sopravvisse al successo delle sue vetture. Nei primi anni ’20 dichiarò bancarotta nonostante una precedente ristrutturazione societaria. Troppo grande il divario con i giganti dell’industria automobilistica statunitense. Sulla spedizione del 1914 si può ancora imparare qualcosa, perché è un utile promemoria di come i pionieri dell’automobile considerassero le sfide non come fastidiosi impedimenti, bensì come opportunità da dover cogliere e da saper sfruttare.