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Foto del giorno: Portella della Ginestra, la prima strage politico-mafiosa dell'Italia repubblicana

Foto del giorno: Portella della Ginestra, la prima strage politico-mafiosa dell’Italia repubblicana

Fotografia dell’Archivio fotografico Centro studi Pio La Torre, Piana degli Albanesi, provincia di Palermo, Italia, 1° maggio 1947. Sono circa 2.000 le persone riunitesi a Portella della Ginestra, località montana sul territorio comunale di Piana degli Albanesi. Festeggiano il 1° maggio, la festa dei lavoratori, dopo oltre vent’anni in cui non si è potuto farlo, causa imposizione del regime fasc.sta. Su quelle anime, in prevalenza contadini del palermitano, la banda criminale capeggiata da Salvatore Giuliano, anche noto col nome di Turiddu, aprì il fuoco. Versato il sangue degli onesti siciliani, si configurò la strage di Portella della Ginestra, la prima di stampo politico-mafioso di un’Italia finalmente riunita nel segno della Repubblica.

Foto del giorno: Portella della Ginestra, la prima strage politico-mafiosa dell'Italia repubblicana

I 2.000 si aggregarono in principio per manifestare contro il latifondismo in favore di una ridistribuzione razionale delle terre, molte delle quali rimaste incolte. Era anche un’occasione buona per festeggiare il successo del Blocco del Popolo, il sodalizio regionale fra i socialisti di Nenni e i comunisti di Togliatti, che alle regionali tenutesi il 20 aprile di quell’anno avevano agguantato il 32% (contro un fallimentare 20% della Democrazia Cristiana) ed espresso 29 rappresentanti sui 90 dell’assemblea siciliana.

Essendo poi il 1° maggio del 1947, per i festeggiamenti si scelse la località di Portella della Ginestra dato che fu in quel luogo che Nicola Barbato, storico esponente della sinistra sicula, aveva tenuto alcuni dei suoi discorsi più incisivi. Bisogna registrate anche un altro dettaglio. Il palermitano (e il territorio siciliano in generale) in quel 1947 era ancora martoriato da povertà e fame. Una fetta importante di partecipanti si presentò nella speranza di mettere qualcosa sotto i denti, e non perché mossi da chissà quale simpatia politica.

Portella della Ginestra dipinto eccidio

Dunque si chiedeva una riforma agraria, ma questa avrebbe alterato degli equilibri sino ad allora vantaggiosi per alcuni “attori” di spicco del panorama socio-amministrativo siciliano: i grandi proprietari terrieri e le cricche mafiose. Figure che spesso si sovrapponevano. Alla fine di un comizio tenuto dal deputato liberale Girolamo Bellavista durante la campagna elettorale per le regionali del 20 aprile, il capomafia di San Cipirello, Salvatore Celeste, gridò: «Voi mi conoscete! Chi voterà per il Blocco del Popolo non avrà né padre né madre». Era il segnale lampante di ciò che sarebbe successo.

Il 27 aprile la mafia locale stese un piano, rotante attorno alla figura di Salvatore Giuliano, detto Turiddu. I suoi sarebbero stati gli esecutori della strage di Portella della Ginestra. Il capobanda separatista, ex colonnello dell’EVIS, profondamente reazionario e anticomunista, promise 5.000 lire a una ventina di picciotti, minorenni in parte, in cambio del sangue dei manifestanti.

Portella della Ginestra Salvatore Giuliano detto Turiddu

La banda criminale di Salvatore Giuliano si appostò sul promontorio del Pelavet, dominante la vallata, e durante il raduno del 1° maggio aprì il fuoco. 800 colpi con almeno 7 armi diverse. Ci fu una preponderanza di mitragliatrici automatiche. 14 i morti sul momento, mentre fra i 27 feriti, alcuni persero la vita nelle ore o nei giorni successivi.

Al dramma si aggiunse una successiva ondata di violenza intimidatoria, sempre di matrice politico-mafiosa. In giugno le Camere di Lavoro e le sedi del PCI di Monreale, Carini, Cinisi, Terrasini, Borgetto, Partinico, San Giuseppe Jato e San Cipirello, furono bersaglio di attentati. In tutti i casi, gli attentatori lasciarono dei volantini recanti la firma di Turiddu e l’invito rivolto alla popolazione di ribellarsi al comunismo.

Portella della Ginestra giornale Il Messaggero

Sul piano strettamente giudiziario, le inchieste e i processi portarono a individuare come responsabile materiale della strage il bandito Salvatore Giuliano, insieme alla sua banda. Il procedimento principale si svolse davanti alla Corte d’Assise di Viterbo, dopo che Giuliano era già morto (ucciso il 5 luglio 1950). Nel processo, l’unico imputato centrale rimasto in vita fu il suo luogotenente Gaspare Pisciotta, che confessò il coinvolgimento diretto della banda, sostenendo che l’ordine di sparare non fosse stato una semplice iniziativa criminale ma un’azione con mandanti politici. Tuttavia, il tribunale non riconobbe l’esistenza di mandanti esterni, stabilendo che l’eccidio fosse il risultato di un’azione banditesca autonoma, sebbene aggravata dalla finalità di intimidazione politica.

Portella della Ginestra memoriale

È la ricerca storiografica che però produce le riflessioni più adeguate. Oggi esiste un ampio consenso sul fatto che la strage non possa essere ridotta a un atto di banditismo isolato. Gli storici concordano nel collocarla nel contesto della forte avanzata elettorale delle sinistre in Sicilia. Altresì rilevante fu la reazione violenta di latifondisti, mafia agraria, settori anticomunisti e apparati dello Stato timorosi di una radicalizzazione sociale. Infine, anche se sembra frutto di una diacronia, il clima internazionale svolse un ruolo affatto secondario. C’è chi ha sostenuto addirittura un coinvolgimento degli USA, ma è quasi impossibile comprovarlo.