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Foto del giorno: la luce è la miglior cura...

Foto del giorno: la luce è la miglior cura…

Fotografia di anonimo, Cheyne Hospital for Children di Chelsea, Londra, Inghilterra, febbraio 1928. Un bambino munito di occhiali protettivi e tenuto in braccio da un’infermiera si sottopone a un trattamento di fototerapia. La fotografia che ci ritroviamo davanti, risalente alla fine degli anni ’20 del XX secolo, è un documento storico abbastanza suggestivo, è indubbio. Non è fantascienza, piuttosto il riflesso di una pratica medica reale – tutt’oggi esistente, anche se in forma leggermente diversa – e molto diffusa nei primi decenni del Novecento. Essa prende il nome di fototerapia ed oggi la osserveremo nella sua declinazione più tecnica e ospedaliera. Inizia un viaggio storico in un tempo in cui si credeva che la luce fosse la cura ad ogni male…

Foto del giorno: la luce è la miglior cura...

All’alba dello scorso secolo, in un’Europa ancora lontana dagli antibiotici ma attraversata da una vivace ondata di sperimentazioni mediche, la luce – naturale o artificiale che fosse – venne accolta con entusiasmo come agente curativo. Gli scatti di questo articolo illustrano in maniera esplicita le implicanze di questa convinzione (almeno spero sia così). Si riteneva che l’esposizione alla luce, soprattutto ai raggi ultravioletti, potesse guarire un’ampia gamma di malattie, dalla tubercolosi cutanea all’anemia, passando per le ulcere e il rachitismo, arrivando alle più gravi disfunzioni circolatorie o ai disturbi del sistema nervoso.

In effetti, già nel 1903, il medico danese Niels Ryberg Finsen ricevette il Premio Nobel per la Medicina per i suoi studi sull’uso terapeutico dei raggi UV nel trattamento della lupus vulgaris, una forma di tubercolosi della pelle. Il suo lavoro aprì la strada a un’epoca in cui la luce non era più solo simbolo di vita, ma anche strumento di cura.

luce fototerapia bambino primi del Novecento

Lo scatto del 1928 dell’infermiera e del bimbo con gli occhiali è parte di questa grande vicenda storico-medica. In strutture come il Cheyne Hospital for Children, situato nel quartiere di Chelsea, ovest di Londra, i pazienti (anche bambini e giovani) venivano sottoposti a “bagni di luce”.

Li si esponeva a radiazioni UV tramite speciali lampade al quarzo, simili a quelle visibili nella foto. Le sedute duravano alcuni minuti e dovevano essere attentamente dosate. Sì, poiché l’eccessiva esposizione poteva causare gravi ustioni o, come si cominciava a scoprire negli anni ’30, favorire l’insorgenza di tumori cutanei.

luce fototerapia lampade al quarzo

La fototerapia, branca della ben più nota elioterapia (altresì nota come “terapia solare”), è una realtà terapeutica ancora oggi. Qui non si vuole mettere in discussione la sua funzionalità, anche perché il sottoscritto non ha né le competenze per farlo né la presunzione di possederle con uno schiocco di dita o con una veloce ricerca sul web. Tuttavia è innegabile – forse per via del livello tecnologico di allora – che la fototerapia in quel frangente storico presentasse delle limitazioni. Quest’ultime vennero a galla negli anni: scottature, infezioni peggiorate, casi fatali e cancerogenicità. Figlie predilette della sovraesposizione ultravioletta.

luce fototerapia esposizione ultravioletta

Manco a dirlo, nacquero anche delle correnti pseudoscientifiche; quelle sì che meritano una critica a prescindere. Pensate che alcune di queste mirarono a riequilibrare il sistema nervoso tramite luce colorata sparata negli occhi. Sebbene ancora oggi alcuni di questi approcci trovino sostenitori, già allora la comunità scientifica mostrò più di un timido scetticismo.