Fotografia di anonimo, Briga, Svizzera, 23 settembre 1910. Lo scatto ritrae l’aviatore Jorge Chávez Dartnell in partenza per la sua impresa. Non sapeva, probabilmente, che sarebbe stata la più importante, ma anche l’ultima della sua intera vita. George decollava dal suolo elvetico per entrare, di buon merito, nella storia. Vediamo insieme come e perché.

Jorge Chávez, noto anche come Geo Chávez, nacque a Parigi, il 13 giugno del 1887. Il suo cognome non era però parigino, veniva da più lontano, veniva dal Perù. La terra degli Inca conosceva bene le vette alte e inesplorate e i condor andini, superbi animali che dall’alto osservavano quanto piccolo e insignificante sia il mondo sotto di loro. Geo forse si portò un po’ di questo patrimonio genetico nella sua valigia. Anche lui volava, anche lui superbo.
Nel 1909, alla “École Violet” di Parigi, Chavez otteneva il suo diploma in ingegneria. Il 5 febbraio dell’anno seguente, dopo aver eseguito il suo primo volo, otteneva anche il brevetto da pilota. Il cielo, insomma, lo chiamava. Così, il 23 settembre dello stesso anno, a pochi mesi dal brevetto, si lanciò in un’impresa aerea, temerario e sfrontato come il condor andino. La trasvolata della Alpi lo attendeva, la prima della storia.

Era il 23 settembre del 1910 e da Briga decollava un monoplano Blériot XI alle 13:29. Quel piccolo aereo era sorretto da un motore della potenza di appena 50 CV. Insieme a lui c’erano anche altri 4 a tentare l’impresa, ma nessuno giunse al valico del Sempione, solo lui. Sembrava fatta, Chavez era unico in cielo e primo in terra, ma qualcosa stava per andare male, molto male.
Al momento dell’atterraggio, a soli 20 metri da terra, il monoplano precipitò di muso, distruggendosi malamente al suolo. L’impatto sembrava di portata ridotta, ma Chavez ne uscì abbastanza malconcio. Finì all’ospedale di Domodossola, dove, dopo 4 giorni, improvvisamente, morì. “Arriba, siempre arriba” disse il condor prima di spegnersi, ovvero “In alto, sempre in alto“, riconoscendo fino al punto più estremo della vita umana la sua natura.

Jorge Chavez era riuscito nella sua impresa atterrando (male) in Italia, anche se il prezzo pagato fu il più alto di tutti. Non solo, in maniera indiretta, riuscì anche in a scatenare un’ondata di entusiasmo in un periodo in cui gli aeroplani cominciavano ad essere progressivamente sempre più apprezzati. Addirittura Giovanni Pascoli a lui dedicò un’ode, con la quale vi lasciamo: Cade, con la sua grande anima sola/sempre salendo. Ed ora sì, che vola!