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Chi è il primo schiavo fuggiasco di cui abbiamo memoria

Chi è il primo schiavo fuggiasco di cui abbiamo memoria?

Nell’antichità la schiavitù era vista come un elemento ordinario facente parte di una società in continua evoluzione. Lo schiavo era prima di tutto manodopera a bassissimo costo (lo stretto necessario per la sua sussistenza) e perciò rappresentava il “motore” da sfruttare per la grandezza di un’entità strutturata di tipo teocratico, come l’Egitto antico. Spesso però questi sub-umani desideravano un altro tipo di vita, raggiungibile solo attraverso la via della fuga. Ed è proprio da questo angolo di mondo mediterraneo che giunge il documento che testimonia il più remoto caso di schiavo fuggiasco a noi pervenuto.

II secolo a.C. L’Egitto parla greco, al potere ci sono i Tolomei. Nella terra delle sfingi e delle piramidi è in corso un fenomeno controtendenza. Mentre in tutto il mondo ellenistico-latino la componente schiavile cresce, in Egitto (che ricordiamolo, a scanso di equivoci, di quella realtà fa ampiamente parte) essa è in parte contrastata dall’autorità tolemaica. Il perché è presto detto. La schiavitù propriamente detta creava concorrenza ad una tipologia lavorativa che possiamo definire “per alloggio“. Quest’ultima era più redditizia e proficua a lungo termine, anche se meno “appetibile” per lavori a breve termine (per via dei costi).

Inoltre con l’avvento dei Tolomei (305 a.C.) la concezione stessa dello schiavo cambiò. Se prima questo era prevalentemente utilizzato per lavori estrattivi, di estrema fatica e di alto rischio, adesso egli serviva nelle abitazioni (del notabilato greco), talvolta affacciandosi al mondo dell’artigianato, del commercio e così via. E forse attorno a questa condizione gravitava Hermon (anche noto come Nilo), uno schiavo siriaco nato a Hierapolis Bambyce (odierna Manbij, Siria). Di lui ce ne parla un documento del II secolo a.C., il papiro Insinger, scoperto presumibilmente nel XIX secolo ed oggi custodito a Leida, Paesi Bassi.

Il 18enne Hermon era proprietà di un uomo noto all’epoca dei fatti, ossia Aristogene figlio di Crisippo, quest’ultimo fondatore della scuola stoica. Da quel che si apprende, più che una denuncia il documento rappresenterebbe un appello al suo ritorno. Interessante sottolineare come Aristogene prometta tre talenti di rame a colui che riporterà il giovane Hermon a casa. Questo appena citato è, almeno ad oggi, il documento scritto che attesta la più antica fuga di uno schiavo da noi conosciuta.

Nessun’altra fonte riporta il proseguo della vicenda. Non sappiamo se Hermon tornò a casa o meno. Una cosa però è ben nota ed è l’entità della punizione per chi, come lo schiavo Hermon, osava tradire la fiducia del padrone. Amputazione degli arti o, nel migliore dei casi, frustate e marchiatura a fuoco sulla fronte.

Difficilmente ci si guadagnava la libertà in quel mondo. Certo, esistono casi noti (anche se ben pochi) di uomini (mai di donne) che per bontà padronale o per pagamento diretto riuscirono a raggiungere lo status tanto agognato. Hermon, plausibilmente per vie illecite, poté dirsi altrettanto fortunato.