Raramente trattiamo casi di cronaca nera in questa sede, ma per si farà un’eccezione. Doveroso, infatti, spendere due parole su una delle serial killer italiane più note del XX secolo, per non dire di sempre. Lei si chiamava Leonarda Ciuanciulli, viveva a Correggio, in provincia di Reggio Emilia, e tra il 1939 e il 1940 uccise tre donne. Dai loro corpi, previa immersione nella soda caustica, ricavò del sapone; dal loro sangue, il ferroso ingrediente per dolci casalinghi. Perché lo fece? Davvero lo fece? Quali le motivazioni per un siffatto raccapriccio? Cosa ne fu della Saponificatrice di Correggio in ambito processuale e giudiziario? Cercheremo di snocciolare questi punti nel corso dell’articolo. Sarà una storia tetra, inadatta a stomaci deboli, in cui superstizione, follia e manipolazione andranno a braccetto.

Leonarda Cianciulli nacque nel 1894 a Montella, in provincia di Avellino, in una famiglia segnata dalla miseria, da violenza incancrenita e superstizioni antiche. Secondo le sue stesse memorie, la madre l’avrebbe maledetta sin dalla nascita per aver sposato un uomo che non approvava. Quella maledizione sarebbe rimasta a tormentarla per tutta la vita. La giovane ragazza visse un’esistenza costellata da lutti e tragedie. Ben 13 gravidanze finirono in aborto o con la morte prematura dei neonati. Solo quattro dei suoi figli sopravvissero, e a loro la donna si legò in modo ossessivo, sviluppando un terrore profondo di perderli.
Dopo un matrimonio travagliato con Raffaele Pansardi, impiegato del catasto, e un breve periodo trascorso nel Sud Italia, la coppia si trasferì a Correggio, in Emilia-Romagna, dopo il terremoto del Vulture del 1930. Qui Leonarda cercò di ricostruirsi una vita. Aprì una bottega, si fece conoscere come una donna pratica, premurosa, e persino come una specie di “maga” capace di leggere le carte e consigliare le donne del paese. Dietro questa facciata rispettabile, però, si nascondeva un’anima disturbata, senz’altro lacerata dal rimorso. L’insieme delle credenze popolari su cui basava la sua ragion d’essere innescarono in lei il delirio.
Negli anni che precedettero la Seconda guerra mondiale, il suo timore per la sorte dei figli si fece ossessivo. Convinta che solo un sacrificio umano avrebbe potuto “placare il destino” e proteggerli dalla morte, Leonarda cominciò a pianificare i suoi delitti.

La prima vittima fu Faustina Setti. Vedova, sola, semplice e analfabeta, che Leonarda avvicinò dicendole di aver combinato per lei un matrimonio con un uomo di Pola, in Istria. Le fece scrivere lettere d’addio da inviare ai parenti, poi la uccise a colpi d’accetta, sciolse il corpo nella soda caustica e si sbarazzò dei resti gettandoli nelle fognature. La seconda, Francesca Soavi, era una maestra in pensione che sognava di lavorare in un collegio a Padova. La trappola fu la stessa: false promesse, allontanamento improvviso dagli affetti più stretti, fine violenta.
Infine, nel novembre del 1940, toccò a Virginia Cacioppo, ex soprano di discreta fama, che credeva di essere stata raccomandata per un lavoro presso un impresario teatrale a Firenze. Anche lei firmò lettere di addio prima di sparire per sempre. Il copione d’altronde non poteva variare. Ma la scomparsa della Cacioppo, più conosciuta e circondata da legami sociali, fece scattare sospetti. Una parente determinata, Albertina Fanti, non si arrese e denunciò la scomparsa, portando le indagini fino a Correggio.
Le forze dell’ordine scoprirono rapidamente la verità: nel laboratorio di Leonarda trovarono tracce di soda caustica, utensili da macelleria e registrazioni di movimenti economici legati alle vittime. Messa alle strette, la donna confessò tutto, aggiungendo però particolari tanto macabri quanto dubbi. Disse di aver trasformato i corpi delle vittime in sapone e di aver usato il loro sangue per preparare dolci che poi distribuiva ai vicini.

Fu proprio questo racconto, forse ingigantito per ottenere attenuanti psichiatriche, a costruire la leggenda nera della “Saponificatrice”. In realtà, nessuna prova concreta dimostrò che Leonarda avesse davvero prodotto sapone o dolci con resti umani; è più probabile che tali confessioni fossero frutto di suggestioni, deliri o calcoli opportunistici. Tuttavia, il mito attecchì rapidamente: la stampa del regime, affamata di casi morbosi, fece della Cianciulli una figura quasi spettrale, una madre mostruosa e superstiziosa nel cuore dell’Italia rurale.
Il processo si aprì nel 1946, in un Paese in macerie ma desideroso di voltare pagina. Leonarda fu giudicata capace d’intendere ma socialmente pericolosa: venne condannata a 30 anni di carcere e 3 di manicomio criminale. Morì nel 1970 a Pozzuoli, colpita da apoplessia cerebrale.

Dal punto di vista chimico, la saponificazione descritta dalla Cianciulli è un processo reale, anche se non nei termini da lei suggeriti. Si tratta infatti di una reazione basica tra grassi (trigliceridi) e idrossido di sodio (NaOH), che produce un sale di acido grasso, cioè il sapone. In condizioni controllate, questa reazione è impiegata da secoli per produrre sapone da grassi animali o vegetali. Ma applicarla a resti umani, come suggerito nei racconti della donna, è un’ipotesi più simbolica che chimicamente documentata. Un modo per giustificare, attraverso la pseudo-scienza e la superstizione, l’orrore dei delitti.
La figura di Leonarda Cianciulli rimane oggi sospesa tra cronaca nera, psichiatria e folklore. Una donna schiacciata dal peso di lutti, superstizioni e traumi, capace di trasformare il suo dolore in un rituale di morte. Nella memoria collettiva italiana, la “Saponificatrice di Correggio” è diventata un emblema disturbante della paura e della superstizione che, nel cuore del Novecento, ancora convivevano con la modernità.




