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Quando i talebani distrussero i Buddha di Bamiyan, ma permisero la scoperta di inediti reperti

Quando i talebani distrussero i Buddha di Bamiyan, ma permisero la scoperta di inediti reperti

La malsana ideologia iconoclasta dei talebani, sottoforma di tritolo, distrusse i due giganteschi Buddha di Bamiyan, in Afghanistan, il 12 marzo 2001. Veri e propri tesori culturali, di eccelso valore artistico, storico e archeologico, vennero giù dopo un millennio e mezzo di resilienza alla follia dell’uomo. Già, perché è triste dirlo, ma i talebani non furono che gli ultimi a tentare – con successo quella volta – la distruzione delle enormi statue. Eppure nella tragedia della devastazione, materiale e astratta, ci fu un risvolto abbastanza inatteso: l’assenza delle sculture permise agli esperti di scoprire una rete di caverne sotterranee sino ad allora inesplorate e antichi reperti, dei quali non si aveva traccia documentale alcuna.

Quando i talebani distrussero i Buddha di Bamiyan, ma permisero la scoperta di inediti reperti

Si chiamavano Buddha di Bamiyan e per 1.500 anni circa dominarono l’omonima valle afghana a circa 230 chilometri dalla capitale Kabul. Espressione diretta dell’arte greco-indiana del Gandhāra (di cui vi parlai dettagliatamente in un precedente articolo), le due statue facevano parte della lista dei Patrimoni mondiali dell’umanità secondo l’UNESCO. La più piccola, di 35 metri d’altezza, risaliva all’anno 507. Mentre la più grande, di 53 metri, la scolpirono nel 554.

Gli anni e il luogo della loro realizzazione non erano affatto casuali. Nella valle di Bamiyan passava la Via della Seta. In virtù di ciò, l’area ospitò numerosi templi buddisti e fiorì sotto ogni aspetto (culturale, quindi filosofico, artistico e religioso) a partire dal II secolo fino all’avvento islamico del IX secolo. Poi per la comunità eremita buddista seguirono secoli duri, trovandosi sotto l’autorità musulmana. Lo si è detto in apertura: i talebani all’inizio del terzo millennio furono solo gli ultimi di una serie di popoli che cercarono di cancellare le tracce storiche dei Buddha di Bamiyan.

Buddha di Bamiyan illustrazione del XIX secolo

Ci provarono le armate dell’Impero Ghaznavide tra il X e l’XI secolo, salvo poi ripensarci. Ancora un tentativo lo fecero i mongoli di Gengis Khan. Benché la loro azione si risolse in un ampio saccheggio più che in una totale distruzione. L’ultimo Gran Mogol, Aurangzēb (che chi ci segue da tempo conosce molto bene, soprattutto ricorda il suo zelo religioso), fece sparare dei colpi d’artiglieria scalfendo, ma non distruggendo, le statue buddiste. Stessa identica cosa fece Nadir Shah, il grandioso Scià di Persia. Nulla, nonostante le cannonate, i due enormi Buddha rimasero saldamente al loro posto. Almeno fino all’alba del XXI secolo.

Buddha di Bamiyan prima della distruzione

Nel 1999 la suprema guida spirituale talebana, il mullah Mohammed Omar si dichiarò favorevole alla conservazione delle statue. Sebbene in Afghanistan non esistesse una comunità buddista pronta a venerarle, potevano pur sempre tornare utili su un piano turistico. Parole al vento, visto che la stretta ideologica islamista bandì ogni tipo di raffigurazione idolatra nel Paese.

Buddha di Bamiyan

I Buddha di Bamiyan divennero antitetici ai principi della legge islamica e a partire dal 12 marzo 2001, tra lo sdegno di tutte le nazioni del mondo – compreso il Pakistan, il più forte alleato dei talebani in Afghanistan – diverse tonnellate di tritolo causarono la deflagrazione parziale delle monumentali statue. Ci volle un mese per buttarle giù completamente. Poi sappiamo tutti come sono andate le cose: l’11 settembre, l’invasione americana, la caduta dell’emirato islamico e l’instaurazione di una repubblica afghana filo-statunitense.

Con la ritirata dei talebani, gli archeologi hanno avuto la possibilità di fare ricerca fra le rovine di Bamiyan. Fu così che a partire dal 2004 vennero scoperte circa una cinquantina di nuove caverne, alcune delle quali affrescate tra il V e il IX secolo d.C. Inoltre tornò alla luce una terza statua del Buddha, alta 19 metri e anticamente sepolta fra le due distrutte dai fondamentalisti islamici.