Che la birra e il mondo antico fossero parte di un connubio collaudato è risaputo da tempo immemore. Ma che nell’Antica Babilonia si prendesse la bevanda con molta, se non estrema serietà, a tal punto da fissare per legge un razionamento quotidiano e pene asprissime per chi avesse solo pensato di infrangere il volere dell’autorità, beh, nessuno ci avrebbe mai scommesso. Almeno spero.

Già i Sumeri sei millenni orsono amavano così tanto la birra da chiamarla “sikaru” ovvero “pane liquido“. Un po’ come i monaci calabresi trapiantati in Baviera di cui vi ho parlato un po’ di tempo fa. Una passione tramandata nei secoli e diffusasi in Mesopotamia come nel Vicino Oriente, nonché in Egitto. Restando nei territori della Mezzaluna fertile, è d’interesse odierno la vicenda che coinvolse il vecchio regno babilonese, il suo sovrano più illustre e la bevanda alcolica a base di orzo, frumento o miglio.
Per i babilonesi la birra non era una cosa da prendere sotto gamba. Se non ci credete, provate a dare un’occhiata a ciò che resta del Codice di Hammurabi, il quale non solo la menzionava, ma ne regolamentava la produzione, lo stoccaggio, la distribuzione e il consumo. Prima un veloce riepilogo sul codex babilonese, senza il quale non si potrebbe comprendere la rilevanza dei provvedimenti inerenti la birra. Il Codice di Hammurabi è una delle più importanti testimonianze letterarie e legislative dell’antichità tutta. Si tratta di una raccolta di leggi, inscritte in caratteri cuneiformi accadici su una stele di basalto alta poco più di due metri, scoperta nei pressi della città di Susa (oggi Shush, Iran occidentale) nel 1901.

Non sono queste scarne informazioni a rendere giustizia alla centralità storica del manufatto, però ci forniscono un’idea, seppur superficiale, a riguardo. Il nome della raccolta parla da sé: fu redatto nel XVIII secolo a.C. su richiesta del sesto sovrano della I Dinastia Babilonese, Hammurabi. L’unificatore della bassa Mesopotamia fece redigere l’omonimo codice per regolamentare la vita sociale nei suoi domini e, cosa altrettanto rivoluzionaria, per rendere accessibile e consultabile la legge a chiunque avesse saputo leggere. Non diamo per scontata la portata storica di questa decisione, avvenuta quasi 4.000 anni fa.
Andando dritti al punto, nel codice si cita più volte la birra: come deve essere prodotta, immagazzinata, venduta e consumata. Ogni aspetto conta. Tra le norme più in vista, ce n’è una davvero interessante. Nell’Antica Babilonia ogni suddito aveva diritto ad una razione minima di due litri. La quantità sarebbe aumentata all’elevarsi dello status sociale.

Facciamo un esempio pratico: un manovale si sarebbe dovuto “accontentare” di soli due litri. Invece un dipendente di quella che oggi chiameremmo pubblica amministrazione avrebbe goduto di ben tre litri di birra. Alti funzionari, guerrieri e sacerdoti, che della società babilonese rappresentavano ovviamente l’élite, potevano usufruire giornalmente fino a cinque litri di “pane liquido”.
A differenza di quanto accade oggi, la bevanda a quei tempi valeva anche come merce di scambio se non addirittura come valuta intermedia. Ne derivava una certa preziosità. Ora, alcune fonti online che definire attendibili è un insulto al mestiere dello storico, sostengono che chi avesse annacquato la birra con chiari intenti illeciti e fosse stato beccato dalle autorità, sarebbe incorso nella pena capitale. Capisco il sensazionalismo che delle volte nozioni del genere suscitano, ma è molto improbabile che le cose stessero così.

Facendo una media ponderata di tutti i provvedimenti penali babilonesi di cui siamo a conoscenza, riusciamo a farci un’idea più corretta sul caso. Se qualche furbacchione avesse commesso una frode commerciale – perché di quello si trattava – allora la legge avrebbe punito il malfattore con multe salate, risarcimenti o confische varie. Al massimo si sarebbe fatto ricorso alla cara punizione corporale. Niente a che fare con la morte, prevista per reati ben più gravi, come l’alto tradimento, il furto sacrilego o l’inadempienza agli affari religiosi di Stato. Quindi sì, la birra da quelle parti era presa sul serio, ma senza esagerare.