Storia Che Passione
La Stasi l'occhio che tutto vede della Germania Est

La Stasi, l’occhio della Germania Est che tutto vede

Nessuno sfuggiva alla supervisione della Stasi. Non è una frase ad effetto, ma un’evidenza dei fatti che gli ex tedeschi orientali (soprattutto i berlinesi da quest’altra parte del muro) scoprirono non appena “la dittatura del proletariato” crollò a suon di picconate. Probabilmente il Ministero per la sicurezza dello Stato (Ministerium für Staatssicherheit) fu l’apparato di polizia politica più grande, indecifrabile e pervasivo che l’essere umano abbia mai creato. In tal senso, quelli della DDR fecero sfigurare “colossi” del settore come l’onnipresente CIA o gli infallibili amici del socialcomunismo, uniti nella sigla KGB.

Cercando le parole per iniziare l’articolo, ho pensato fosse un’idea carina proporre una statistica sulla funzionalità della Stasi. La ricerca mi ha condotto di fronte un dato surreale. All’apice del suo invadente compito, la polizia politica della Germania Est poteva contare in media su un informatore ogni 59 abitanti. Pensate a quante persone conoscete, quanti legami coltivate ogni giorno. Ecco, c’era un tempo in cui minimo una persona facente parte della vostra vita era una spia della Stasi. Forse il vostro vicino, magari il signore che incontravate al bancone del supermercato, probabilmente il meccanico che vi aveva riparato il pedale della frizione. Da dove origina questa assurdità fatta istituzione?

Al termine della Seconda Guerra Mondiale e con la scissione bipolare della Germania, quelli dell’est compresero come il socialismo sarebbe sopravvissuto solo se “lo scudo e la spada” di un supremo organo l’avesse protetto da minacce interne (non tutti i quasi 20 milioni di tedeschi orientali erano filosovietici) e da pericoli esterni (molteplici erano le tentazioni capitalistiche e occidentali da cui preservarsi). Stalin in persona ordinò prima del 1950 l’invio dei migliori agenti segreti per svolgere un lavoro di formazione. I quadri dirigenti, gli ufficiali, personale specializzato, appresero dai migliori come tenere in piedi un ministero dagli oscuri compiti. Tra questi cito lo spionaggio, supervisione cittadina, raccolta informazioni, missioni operative poco ortodosse, ecc.

A capo di tutto ciò Mosca propose Wilhelm Zaisser, un buon burattino, senza dubbio, ma la vera longa manus della Stasi era il suo vice, herr Erich Mielke. Nel 1952, Berlino est cancella ogni briciola di pluralismo politico e sociale. La Repubblica Democratica Tedesca (nome che mi ha sempre fatto un po’ ridere) diviene una dittatura comunista retta da una struttura verticale monopartitica. Il miglior alleato di uno stato così accentrato è per forza di cose la Stasi, occhio e braccio armato al servizio del socialismo. Tra i suoi ranghi la selezione è meticolosa. Alla sede operativa centrale di Berlino-Lichtenberg sono ammessi solo giovani, chiaramente fedeli al partito e alla volontà totalizzante socialista. Soprattutto questi scout non dovevano essere collusi con il nazionalsocialismo degli anni precedenti.

La Stasi cambia volto (ma non anima) nel 1953, Zaisser viene sostituito per incompetenza – non era riuscito a sedare una protesta popolare – con un altro fidato del Cremlino, Ernst Wollweber. Quest’ultimo dura veramente poco e per problemi di salute cede la segreteria del ministero nel 1957 a Mielke, da quell’anno ufficialmente l’uomo più potente della DDR. L’ufficiale nato nel 1907 è un comunista della prima ora, scuola Lenin e volontario di fama nella guerra civile in Spagna. La cieca fedeltà alla causa del proletariato si imprime quantitativamente e qualitativamente sul ministero. Sotto Mielke, Stasi è sinonimo di sorveglianza e controllo totale. Esiste un fascicolo dettagliato sulla vita, anche intima, di ogni cittadino. Il Grande Fratello di Orwell è realtà (in)tangibile. Con l’innalzamento del muro nel 1961 qualcuno osa lamentarsi degli esborsi esorbitanti che una macchina perfetta come la Stasi richiede. Il direttore non è d’accordo e mantiene inalterata la struttura.

Anni ’70, Brandt e l’Ostpolitik, con il nuovo segretario generale Erich Honecker, rispolverano l’immagine internazionale della DDR, che deve mostrarsi al mondo come un paese tutto sommato civile. L’operato dello “scudo e la spada” deve continuare, ma con qualche accortezza in più per nascondere quanto fatto. Paradossalmente questa situazione rende l’apparato di spionaggio ancor più affinato, per non dire spietato. Esemplificazione della nuova linfa è il cosiddetto “terrore discreto“, ovvero l’ampliamento delle prerogative del ministero oltre le maglie costituzionali. Non c’era telefonata nella Germania orientale che non fosse intercettata; non esisteva corrispondenza che venisse preventivamente letta da qualche sottoposto al distaccamento operativo di turno. Lo stesso Willy Brandt ne fu colpito, forse la vittima più illustre dell’impalcatura spionistica a guida Mielke. In futuro vorrei approfondire l’argomento, perché fu alla base di uno scossone politico non solo inerente alle due facce tedesche, ma alla polarizzata contrapposizione globale.

Gli anni ’80 per il Ministerium für Staatssicherheit proseguirono sulla falsa riga di quanto accadeva nella galassia comunista: tutti sapevano che in fondo qualcosa non andava, che forse la nave stava imbarcando acqua, eppure nessuno per timore o per inezia volle prendere in mano quel metaforico secchio per restituire al mare quanto ricevuto. Al novembre 1989 neppure la Stasi sopravvisse, e anzi, fu la prima a sottovalutare il sommovimento popolare alla base delle storiche proteste. Compresa l’entità degli eventi e la futura riunificazione, gli ultimi fedeli della causa proletaria occultarono, bruciarono, eliminarono per quanto possibile ogni traccia del controllo perpetrato in 40 anni di attività. Per fortuna la mole era così imponente che non ci riuscirono, garantendo un minimo di giustizia a tutti gli ex cittadini DDR che ebbero accesso ai famigerati archivi.

P.S. Consiglio caldamente per una visione a tutto tondo del tema la pellicola Das Leben der Anderen, in italiano “Le vite degli altri“, del regista Florian Henckel von Donnersmarck.