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Testicoli di scimmia trapiantati nell'uomo? Tutto possibile secondo Serge Voronoff

Testicoli di scimmia trapiantati nell’uomo? Tutto possibile, secondo Serge Voronoff

Esisteva un’epoca neanche troppo lontana in cui nei salotti di tutta Europa si discuteva amabilmente delle più becere e insensate teorie razziali, sottoscrivendo una conclamata superiorità dell’uomo bianco, caucasico, ariano, tutt’al più mediterraneo, rispetto alla controparte sub-umana dalla pelle nera. Nella medesima epoca, gli stessi signorotti propugnatori di un saldo razzismo scientifico accorrevano sotto i ferri di Serge Voronoff, ben lieto di trapiantare in loro testicoli di scimmia per un generico “rinvigorimento” delle capacità fisiche-sessuali. E poco importava che l’operazione fosse poco etica (anche per gli standard differenziali tra le specie, e quindi tra le “razze” di cui sopra si è detto). Sotto banco l’ipocrisia regnava sovrana.

Sergej Abramovič Voronov, naturalizzato francese in Serge Voronoff, si fece sano portatore di quell’atteggiamento insincero. Nato in Russia nel 1866, cresciuto accademicamente in Francia, Egitto e Italia, Voronoff dedicò gran parte della sua vita professionale al perseguimento pratico e alla comprensione teorica dello xenotrapianto (ovvero tra specie diverse). Un sentire scientifico che trovava adito in altri uomini di medicina, sia chiaro. Altri tempi, altre menti. Prendiamo a fulgido esempio l’intraprendente Charles-Édouard Brown-Séquard, fisiologo e neurologo anglo-francese che ha permesso al mondo di fare la conoscenza degli ormoni. Non proprio uno sprovveduto… Eppure fu lo stesso ad iniettarsi un fluido proveniente dai testicoli di un cane, forse sua cavia da laboratorio, per testarne le potenzialità di ringiovanimento. A 72 anni, dopo la puntura, disse di averne personalmente testimoniato il beneficio sotto le lenzuola di un letto, magari in compagnia e a luci soffuse.

Tutto ciò per dire che Voronoff non era l’unico scemo del villaggio. L’intero villaggio era scemo. L’ipotesi medica sollevata da Séquard non fu presa sul serio quasi da nessuno. Il “quasi” lascia sottendere come qualcuno, si dia il caso fosse Serge Voronoff, vide in quell’iniezione una geniale trovata. Al tempo, anni dieci del Novecento, il chirurgo si trovava in Egitto per studiare gli effetti della castrazione maschile. Tra gli studi e le ricerche, trovò il tempo di leggere un saggio di un altro chirurgo, il greco Skevos Zervos. Quest’ultimo già allora praticava innesti di testicoli di scimmia nell’uomo. “Operazioni dall’esito contraddittorio” si leggeva nel saggio. Era quanto bastava per convincere Voronoff a perseguire la stessa strada.

Prima di mettere nel mirino le scimmie, egli analizzò i genitali di capre, pecore e tori, non restando soddisfatto delle premesse teoriche. Il primo vero approccio con i primati si manifestò con il trapianto di una ghiandola tiroidea, di cui l’ex proprietario era uno scimpanzé, ad un ragazzo affetto da cretinismo (o sindrome da deficit congenito di iodio, patologia dovuta alla disfunzionalità della tiroide). Incredibilmente, l’operazione non andò per il peggio. Era tutto apparecchiato per la grande occasione, che si presentò il 12 giungo 1920. Il chirurgo innestò testicoli di scimmia ad un uomo, come se l’atto rappresentasse l’elisir di lunga vita finalmente scovato. Nel 1923, il Congresso internazionale dei Chirurghi riconobbe la validità medico-scientifica in merito al lavoro di Voronoff. Fu allora che tutti, in preda all’euforia, vollero farsi operare da quell’uomo che prometteva l’eterna giovinezza.

Mancavano le scimmie da torturare… ehm, scusate, da trattare clinicamente? Nessun problema, il chirurgo acquistò una residenza niente male a Grimaldi Ventimiglia, in Liguria, all’interno della quale avrebbe messo in piedi un allevamento. Così nacque la triste fama del “Castello Voronoff“. Nell’arco di una decina d’anni, in 500 godono del servigio di Serge Voronoff. Le operazioni si svolgono rigorosamente in Francia, perché Londra ne proibisce l’esecuzione (e dall’isola di Sua Maestà proviene circa la metà dei pazienti). Facile credere che questi numeri, comunque considerevoli, conducano ad un esito positivo del trapianto sul lungo periodo. E invece (un po’ a scoppio ritardato) in molti si resero conto del fatto che, tutto sommato, nulla cambiava, se non il loro aspetto là sotto.

Il fenomeno del trapianto andò progressivamente sgonfiandosi, anche per una forte critica sociale non sempre fondata su argomentazioni condivisibili. Non furono in pochi coloro che gridarono alla “bestializzazione” dell’uomo (bianco). Con l’ausilio di una svelta parafrasi, si capisce dove si vuole andare a parare. Quella pratica chirurgica, folle per noi, ma non per i salotti europei, cadde fortunatamente nell’oblio, lasciando strascichi dall’anima polemica e connotati da un neppure troppo velato razzismo.