Semplice, a tratti prevedibile, meravigliarsi per le conquiste che l’umanità ha conseguito in millenni e millenni di storia. Raramente ci soffermiamo nel considerare chi ha provveduto all’educazione della progenie, chi ha pronunciato le giuste parole di conforto, chi ha incoraggiato semplicemente con la forza dirompente di uno sguardo. Doti innate di qualunque madre che si rispetti, sia chiaro, ma grazie alle quali alcune di loro hanno scritto – volontariamente o meno – pagine indelebili di storia. Le autrici di quelle pagine vanno ricordate prima di tutto per quello che furono, donne e madri, e poi per ciò che fecero. Figure che hanno trasceso i limiti delle rispettive epoche, giocando ruoli determinanti per i figli e le figlie che oggi ricordiamo per aver giganteggiato in diversi ambiti del sapere. E scusateci se è vero, ma la mamma è sempre la mamma!

Mi piacerebbe partire da lei, Maria Letizia Ramolino (1749/50–1836), coniugata Bonaparte. Il cognome non può ingannarvi, fu lei a crescere Napoleone in un contesto tutt’altro che semplice. Figlia della Corsica, Letizia visse in prima persona le turbolenze politiche dell’isola contesa tra Genova e la Francia. Rimasta vedova nel 1785 con ben otto figli a carico, guidò la famiglia Bonaparte con tenacia, sobrietà e un senso pratico non comune. Fu proprio questo spirito austero che influenzò profondamente Napoleone, che le rimase sempre legato, chiamandola affettuosamente “Madame Mère“.
Anche quando Napoleone divenne imperatore, ella mantenne una posizione discreta e distante dal potere, incarnando una figura materna severa ma affettuosa, consapevole della fugacità della gloria. La Signora Madre fu tante cose: tenace e al contempo silenziosa, devota ai figli ma mai, nel modo più assoluto, servile. Una donna sempre pronta a ricordare, persino a un imperatore, le proprie origini. Quello stesso imperatore dei francesi che arrivò ad attribuire buona parte del suo successo all’educazione impartita da mamma Bonaparte. Maria Letizia Ramolino morì a Roma il 2 febbraio 1836, a 85 anni di età, sola e quasi cieca. Sopravvisse mezzo secolo al marito e un trilustro al figlio più noto.

Negli stessi anni in cui la Signora Madre si avviava al declino psico-fisico, nasceva nella Polonia zarista Bronisława Boguska (1834-1878). Nome che ai più non dirà un bel niente, ma che ricoprì un ruolo di eccezionale importanza nella vita di Maria Salomea Skłodowska, in arte Marie Curie. Bronisława Boguska fu tuttavia una madre il cui lascito, pur discreto, può essere letto come simbolo di dedizione familiare e sacrificio silenzioso. Bronisława era un’insegnante stimata (per pochissimo tempo anche direttrice scolastica) e sebbene morì prematuramente, nel 1878, quando Maria aveva solo dieci anni, esercitò una grande influenza sulle figlie. Non si dimentichi la figura di Bronisława Dłuska, sorella maggiore di Marie Curie, anch’ella mente brillante dedita alla medicina.
Trasmise l’amore per lo studio, il rigore morale e una profonda sensibilità verso il sapere e la giustizia. Il suo impatto in qualità di mamma non fu tanto nella quantità del tempo trascorso con i figli, quanto nella qualità del suo esempio. La giovane Maria ne ereditò l’intelligenza e la tenacia, qualità che l’avrebbero portata a diventare una delle scienziate più grandi di tutti i tempi. La morte della madre lasciò un vuoto profondo che Maria Curie ricordò per tutta la vita, come testimoniato nei suoi scritti. Senza di lei, forse, Marie Curie non avrebbe avuto né la forza interiore né l’ispirazione per affrontare le battaglie scientifiche e personali che l’attendevano.

Enorme passo indietro nel tempo, che dall’Ottocento europeo ci trasporta nell’età della Roma repubblicana. Per quasi tutto il II secolo a.C. il suo nome risuonò forte e costante nella Res Publica. Parliamo di Cornelia Africana (189 a.C. – 110 a.C.), appellativo pesantissimo, portato con onore e gloria essendo la figlia di Publio Cornelio Scipione, vincitore di Annibale e per questo detto l’Africano. Madre dei Gracchi, Tiberio e Gaio, due dei più importanti tribuni della plebe nella Roma repubblicana, Cornelia Africana rappresenta l’archetipo della “mamma romana” per eccellenza. Donna colta, austera e influente, pur senza mai rivestire ruoli politici diretti.
Cornelia si dedicò completamente all’educazione dei figli, formandoli alla rettitudine morale e all’amore per la Repubblica. Spassionata amorevolezza che una frase immortale, impressa nella storia, incornicia alla perfezione. Di fronte ad una matrona romana che era solita ostentare i suoi gioielli, Cornelia Africana, indicando i suoi figli, disse: «haec ornamenta mea» – «ecco i miei gioielli». Cornelia fu venerata come madre ideale nella cultura romana (ellenizzata per suo volere e della sua famiglia). Un modello di virtù, sobrietà e intelletto. Il suo ruolo nella formazione di due dei più controversi riformatori della Roma antica le conferì una fama leggendaria, in cui la maternità diventava strumento politico e culturale.

Circa un millennio dopo, in un angolo del governatorato califfale di Ifriqiya, attuale Tunisia, nacque Fāṭima al-Fihriyya (800 circa-880). Donna come poche altre negli anni dell’Alto Medioevo, purtroppo ignorata o comunque poco approfondita dalla storiografia occidentale. Vi basti sapere che passò alla storia come “Umm al-banīn”, che tradotto dall’arabo significa “madre di tutti i figli”. Chiediamoci dunque: cosa fece per meritarsi un simile soprannome?
Emigrata a Fez, nel Maghreb, col sostegno del padre apprese gli stilemi della raffinata giurisprudenza islamica, appassionandosi anche ad altre scienze, fra cui quelle matematiche e astronomiche. Data la sua posizione sociale preminente, fondò nell’859 la moschea di al-Qarawiyyin, dalla quale si sviluppò parallelamente una prestigiosa madrasa (scuola per studi generali, talvolta superiori). La madrasa di al-Qarawiyyin è formalmente un’università dagli anni ’60 del XX secolo. Ciò non toglie come l’istituzione di Fāṭima al-Fihriyya sia riconosciuta come una delle più antiche del mondo. Fatima non fu madre biologica – o almeno non si hanno notizie certe in tal senso – ma fu senza dubbio mamma culturale e spirituale per intere generazioni.

Concludiamo spostandoci negli Stati Uniti d’America a cavallo tra XIX e XX secolo. Un nome e un cognome a cui la storia del femminismo mondiale deve tanto, se non tutto: Ida B. Wells (1862-1931). Miss Wells-Barnett fu una delle più coraggiose attiviste afroamericane del suo tempo. Nata schiava, fu celebre per la sua lotta contro il linciaggio e per i diritti civili. Ma fu anche mamma di sei figli (di cui due acquisiti col matrimonio), che educò tra mille difficoltà in un’America profondamente razzista e patriarcale.
La sua maternità fu rivoluzionaria: continuò a scrivere, viaggiare, tenere conferenze e fondare associazioni anche dopo il matrimonio e le gravidanze. La sua figura di madre combattente, che scriveva denunce politiche tra una poppata e l’altra, fu un esempio potente per molte donne afroamericane. Il suo impatto come madre va letto anche in senso più ampio: Ida fu madre spirituale del movimento per i diritti civili, anticipando le battaglie di Rosa Parks e Martin Luther King. Le sue “figlie” ideali furono tutte le donne e le giovani nere che videro in lei una guida verso l’emancipazione e la dignità.