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La figura dei medici dell'esercito romano: dalla Repubblica all'età imperiale

La figura dei medici nell’esercito romano: dalla Repubblica all’età imperiale

Prima dell’età augustea, i medici dell’esercito romano non erano figure istituzionalizzate. Nel primo periodo repubblicano ad assistere i feriti erano i civili o i soldati, che dovevano essere autonomi nel medicare se stessi e i loro compagni. Tuttavia, nel corso dei secoli la figura del medico nell’esercito iniziò gradualmente a svilupparsi e ad acquisire un’importanza sempre più cruciale. Quando è che i feriti iniziarono a ricevere cure più sistematiche?

Sotto Cesare, riscontriamo un’attenzione inedita nei loro confronti. Lo si intravede sia nel De bello gallico che nelle Vite dei Cesari di Svetonio. Spesso infatti, si rimandavano le marce per dare loro sollievo. Se poi vigeva la necessità di procedere, si erigevano campi o forti che potessero ospitarli. Nonostante Cesare non faccia menzione di medici nei propri scritti, è indubbio che ne tenesse uno o più di uno sul campo. Durante il I secolo a.C. alcuni suoi contemporanei, come Catone Uticense, erano soliti portare con sé dei liberti versati nell’arte medica (definirla scienza per il tempo è un po’ azzardato).

Progressivamente la figura del medico iniziò ad acquisire maggiore legittimità anche sul piano istituzionale. A quel tempo i primi ufficiali medici erano gli attendenti dei comandanti, che però finivano per destinare i propri servigi all’intero dell’esercito. Da quel momento in poi, la presenza di un curatore interamente dedicato alle truppe divenne sempre più necessaria. Arriviamo al 27 a.C., ossia alla riforma militare di Augusto. Tra le numerose disposizioni, l’imperator introdusse dei medici per ogni sezione interna dell’esercito. Come testimoniano le numerose iscrizioni di quel periodo, erano nati i titoli di medicus cohortis, medicus legionis e medicus ordinarius.

Parallelamente al ruolo istituzionalizzato dei medici, anche lo sviluppo degli ospedali da campo, i valuetudinaria, fu graduale. Li menziona per la prima volta Igino Gromatico durante il regno di Traiano, e li descrive come un raggruppamento di tende riservato ai soldati gravemente feriti. Il valuetudinarium si trovava in una posizione il più possibile isolata, di modo che gli uomini bisognosi di cure non fossero disturbati dai rumori dell’accampamento. La capienza doveva essere all’incirca di 200 uomini e dell’amministrazione si occupava il medicus castrorum.

La celere evoluzione dei medici dell’esercito durante il periodo imperiale è ascrivibile a varie motivazioni. A quel tempo vigeva infatti un saldo legame di vicinanza tra i comandanti, gli stessi Imperatori ai loro uomini. Il loro benessere veniva ora ad assumere una maggiore rilevanza, in ragione di un più forte senso di solidarietà e compassione. Le testimonianze sono molteplici: Traiano strappava le proprie vesti in mancanza di bende. Settimio Severo, Tiberio e Germanico visitavano spesso i feriti, anche quelli di rango più basso.

La qualità degli strumenti chirurgici scoperti negli scavi indica che i medici dell’esercito avessero una buona conoscenza della chirurgia. Nonostante l’arte medica fosse ancora a uno stato embrionale, le tecniche chirurgiche applicate all’interno dell’esercito erano decisamente più sviluppate. È indubbio che l’applicazione pratica della chirurgia ne incentivò il miglioramento, un aspetto che nel complesso contribuì al progresso generale della medicina.