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La campagna italiana di Russia: cronache di un dramma annunciato

La campagna italiana di Russia: cronache di un dramma annunciato

Nello svolgersi del secondo conflitto mondiale, l’Italia fasc.sta si apprestò a supportare l’offensiva tedesca in territorio sovietico. Contribuì all’Operazione Barbarossa prima con un corpo di spedizione (CSIR), poi con un’intera armata (ARMIR). In totale 230.000 uomini provenienti da ogni angolo dello Stivale parteciparono alla campagna italiana di Russia. Mal equipaggiati e inadeguatamente comandati, furono inviati a morire in una terra ostile. Il freddo, le malattie, e i proiettili fecero il resto del lavoro. Un terzo di chi partì per la Russia, non fece mai più ritorno. Oggi come allora, la campagna italiana di Russia rappresenta una dolorosa cicatrice della memoria collettiva nazionale. Quella che segue è la sua storia, o meglio, una delle tante cronache realizzate per evidenziare i tratti di un dramma annunciato.

La campagna italiana di Russia: cronache di un dramma annunciato

Giusto per puntualizzare il senso generale della vicenda, bisogna incorniciare le dinamiche storiche della campagna italiana di Russia del 1941-1943 come se fossero l’intreccio di più fattori concatenanti. Dalle ambizioni ideologiche di un dittatore, ai calcoli diplomatici di un’intera classe dirigente, passando per una generale impreparazione strutturale e il costo del sacrificio umano, elementi che passarono in secondo piano se posti in confronto all’eventuale (EVENTUALE) successo dell’Asse in Unione Sovietica e altrove nel mondo. Chi adotta questa prospettiva, che si regge su proverbiali “se” e “ma”, sostiene che gli italiani spediti in Russia sarebbero potuti essere eroi, e invece vengono ricordati come martiri. Giudizi fin troppo netti a mio parere, i quali tuttavia non cancellano lo stato delle cose: fu una tragedia per l’Italia, fra le più grandi del XX secolo.

Il clima politico di quel 1941 lasciava intuire un paio di cose. Anzitutto che la Germania stesse guardando con crescente inquietudine al “gigante sovietico”, e che il patto di non aggressione del 1939 fosse destinato a infrangersi. Nell’aria si respirava anche un certo desiderio da parte dell’Italia di Benito Muss.lini di partecipare attivamente ad un imminente scontro fra Berlino e Mosca. Per Muss.lini, che dopo il disastro greco e l’intervento tedesco nei Balcani rischiava di apparire un alleato inaffidabile e politicamente irrilevante, la prospettiva di rimanere escluso dalla futura “crociata antibolscevica” era insopportabile.

Insomma, le motivazioni che spinsero il fasc.smo italiano a mobilitarsi in Russia apparivano più politiche che altro. Necessario era riaffermare il prestigio dell’Italia agli occhi di H.tler. Se non altro perché si temeva che altre nazioni dell’Asse (ad esempio Romania, Ungheria e Finlandia) potessero sostituire l’Italia come partner principale del Reich sul fronte orientale, il primo per importanza se consideriamo i numeri delle forze in gioco.

campagna italiana di Russia mappa Operazione Barbarossa

La Germania non richiese né desiderò realmente un intervento militare italiano. Adolf H.tler considerava l’esercito italiano poco utile sul piano operativo. Ma non poteva permettersi di respingere l’offerta del Duce, poiché l’offensiva imminente doveva apparire come un fronte compatto di forze “europee” contro l’URSS.

Il Corpo di Spedizione Italiano in Russia (CSIR) prese forma rapidamente, composto da circa 62.000 uomini, guidati dal generale Giovanni Messe. Le truppe arrivarono in Ucraina nell’estate del 1941 e vennero integrate nella 11ª armata tedesca. La loro azione fu tutto sommato marginale rispetto alla vastità dell’Operazione Barbarossa, ma nondimeno non priva di rilievo. Ricordiamo come il CSIR partecipò alla presa di Stalino (oggi Donec’k) e garantì la tenuta dei settori assegnati nel corso della prima controffensiva sovietica dell’inverno 1941-42.

Ciò non toglie che il contingente, seppur motivato, soffrisse di limiti strutturali enormi. Gli storici pongono sempre l’accento sull’armamento leggero, spesso e volentieri obsoleto; l’artiglieria insufficiente; la scarsità di mezzi motorizzati e l’inadeguatezza dell’abbigliamento contro un clima russo che nella storia ha dato dimostrazione di poter fare la differenza in ambito bellico. Nonostante ciò, il CSIR riuscì a mantenere le posizioni, mentre i tedeschi arretravano a nord. Un risultato importante in termini di prestigio politico, assai meno sul piano strategico.

campagna italiana di Russia comandi Asse

Nel 1942 Muss.lini volle aumentare drasticamente la presenza italiana. In estate arrivarono due nuovi corpi d’armata. La somma di queste forze con il CSIR diede vita all’ARMIR, acronimo di “Armata Italiana in Russia”, affidata al generale Italo Gariboldi. Si trattava di una forza composta di 230.000 uomini: il massimo sforzo bellico del regime autoritario italiano sul fronte orientale.

L’ARMIR si schierò lungo il fiume Don, con un compito delicatissimo, ovvero sostenere le operazioni nazionalsocialiste nell’offensiva verso Stalingrado e il Caucaso. Il fronte assegnato agli italiani era vastissimo, per questo complicato da difendere. Le divisioni erano disperse lungo centinaia di chilometri, prive di riserve mobili. Per di più esposte a un inverno che nessuna uniforme o dotazione nostrana poteva fronteggiare. Fino all’autunno del 1942 il fronte di pertinenza italiana regge, ma è una calma apparente, malgrado le problematiche fin qui descritte.

campagna italiana di Russia combattimenti Ucraina

La svolta arrivò nel novembre del 1942 con l’Operazione Urano. L’Armata Rossa sfondò le linee rumene e accerchiò la 6ª armata tedesca a Stalingrado. La rivalsa sovietica investì l’ARMIR poco dopo. Il 16 dicembre 1942, Iosif Stalin lanciò l’Operazione Piccolo Saturno, puntando direttamente al settore italiano del Don. Le forze italiane cedettero di schianto: sfondate, accerchiate e costrette a una ritirata caotica che sapeva terribilmente di rotta. Il freddo coronava il dramma del momento, visti i – 40° centigradi.

Si arrivò al gennaio 1943, quando l’offensiva sovietica travolse anche il Corpo d’armata alpino, uno dei reparti italiani più preparati. La ritirata degli alpini (resa celebre dalla “sacca” di Nikolaevka) è entrata nella memoria nazionale come un episodio di resistenza disperata, più che di vittoria militare. Nei fatti però la battaglia di Nikolaevka risultò determinante, poiché dopo di essa non ci fu più un’armata italiana adeguata al combattimento in Russia. Kaputt, avrebbero detto gli alleati tedeschi.

Alla fine della campagna italiana di Russia, il bilancio fu devastante. Qualcosa come 85.000 soldati italiani finirono nella conta delle perdite (morti, feriti e prigionieri). Solamente 10.000 prigionieri sarebbero tornati in patria dopo la Seconda guerra mondiale.

campagna italiana di Russia ritirata generale 1943

Ovviamente non devono sfuggirci le conseguenze politiche e morali per l’Italia che si apprestava a spaccarsi. Infatti la disfatta russa ebbe un impatto profondo. Prima di tutto minò la fiducia nella Germania naz.sta, accusata di aver abbandonato al proprio destino l’alleato italiano. Poi il disastro della spedizione dell’ARMIR contribuì al tracollo del consenso al regime muss.liniano, mostrando l’impreparazione militare e l’irresponsabilità politica della dirigenza.

Sul piano strettamente sociale e umano, le vicende sul fronte est alimentarono un vasto corpus di memorie, romanzi, racconti e testimonianze che resero la campagna un argomento centrale nella costruzione di una memoria nazionale condivisa.