Si può credere o meno al destino, così come si può essere fedeli al nesso della causalità, unico vero principio regolatore dell’universo. Insomma, siamo in democrazia e ognuno può opinare su ciò che vuole, ma lasciatemi dire questo: delle volte la storia, con le sue trame più assurde e inesplicabili, ci lascia a bocca aperta, poiché sembra suggerirci come in fondo tutto sembri essere parte di un copione già scritto. Un copione esilarante, per fortuna. La vicenda dell’ingegnere Noè e del suo ruolo vitale durante la Seconda guerra d’indipendenza rappresentano forse uno dei capitoli più incredibili di questa immensa sceneggiatura, ideata da chissà chi, chissà quando, chissà perché.

Partiamo dal contesto storico, senza il quale non capiremmo un bel niente. Dovrebbe essere ben noto a noi italiani. Dalla fine di aprile alla metà di luglio del 1859 infiammò la Seconda guerra d’indipendenza italiana, grazie alla quale il Regno di Sardegna mise le mani sulla Lombardia. Nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza il supporto militare e logistico francese. Andando oltre i ringraziamenti a Sua maestà l’imperatore Napoleone III, bisogna riconoscere l’abilità di alcuni elementi del Genio sabaudo. Elementi fra i quali spiccava Carlo Giuseppe Noè (1812-1873).
L’ingegnere idraulico Carlo Noè ricopriva dagli anni ’30 dell’Ottocento ruoli apicali all’interno dell’amministrazione infrastrutturale del regno. Conosceva il sistema d’irrigazione e smistamento delle acque del Piemonte come le sue tasche. Ecco perché Cavour chiese a lui di trovare una soluzione immediata contro la pericolosa avanzata austriaca verso Torino.

Prendendo una carta geografica in mano si capisce meglio l’entità dei problemi che si materializzarono all’indomani del maggio 1859. Gli austriaci sotto il traballante comando del feldmaresciallo Ferencz Gyulai erano riusciti ad occupare Vercelli, fondamentale caposaldo prima di raggiungere Torino. Erano cadute in mano asburgica Mortara e Novara. L’esercito sabaudo aveva compreso di non poter fermare da soli gli imperiali e, in attesa dell’arrivo dei francesi, decise di temporeggiare. S’instillò nella mente di Cavour e di molti altri il dubbio: si sarebbe trovato un modo per contenere e magari fermare Gyulai prima che fosse troppo tardi?
Carlo Giuseppe Noè ebbe un’illuminazione. Sbarrò i canali che irreggimentavano l’acqua nella pianura vercellese, fece allagare l’allagabile e rese impossibile l’avanzata austriaca. Praticamente Noè dovette scatenare una sorta di “diluvio universale” per salvare Torino (e, retroattivamente, l’Italia unita). Lo straripamento dei canali riguardò l’intero territorio tra la Dora Baltea e la Sesia. Non serve indirizzare la vostra attenzione sulla coincidenza fra nominativi ed eventi, almeno spero…

I 45.000 effettivi al seguito di Gyulai non poterono fare altro che indietreggiare sulla strada per Vercelli. Inutile sarebbe stato l’attraversamento delle piane circostanti oramai inondate. L’occupazione del capoluogo durò 17 giorni e terminò con l’arrivo dei franco-piemontesi il 19 maggio.
L’ingegnere Noè morì il 7 ottobre 1873. La sua tomba si trova a Valenza. Sulla lapide troverete scritto: “Presso ai genitori Giuseppe e Teresa riposa in Dio Carlo Noè, commendatore dell’Ordine Mauriziano, cavaliere dell’Ordine di Carlo III, ingegnere ed architetto, nelle scienze idrauliche ritenuto sommo; ebbe incarichi dalla Patria e dalla Spagna; nel 1859, con improvviso allagamento del territorio vercellese, salvò Torino capitale. Per religione, bontà d’animo e virtù civile rese in vita il suo nome caro e venerato. Lo affidò, poi, morendo all’opera sua imperitura del Canale Cavour…”.