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L'affare Lillehammer, il fatale errore del Mossad

L’affare Lillehammer, il fatale errore del Mossad

Il 21 luglio 1973, in una tranquilla cittadina della Norvegia, andò in scena uno dei più clamorosi errori nella storia dello spionaggio contemporaneo. Sarebbe passato alla storia come “Affare Lillehammer”. Quel giorno, un commando del Mossad assassinò per strada Ahmed Bouchiki, un cameriere marocchino sposato con una donna norvegese incinta. La sua unica “colpa” era quella di assomigliare al ricercatissimo Ali Hasan Salama, conosciuto come il “Principe Rosso” nonché leader di Settembre Nero.

L'affare Lillehammer, il fatale errore del Mossad

Lungi dall’essere un atto isolato, l’omicidio era in realtà parte di una campagna molto più ampia e, permettetemi di dire, ambiziosa. L’esecutivo di Tel Aviv aveva ribattezzato l’operazione “Collera di Dio”. Un nome, un programma. Appunto, la decisero i piani alti del governo, coadiuvati dai vertici militari e dei servizi segreti, dopo il massacro di Monaco di cui già abbiamo discusso in separata sede (qui l’articolo d’approfondimento).

Giusto un piccolo riassunto, e poi proseguirò con la narrazione dell’affare Lillehammer. Il 5 settembre 1972, durante le Olimpiadi di Monaco, un commando di Settembre Nero – organizzazione terroristica nata in seno ai fedayyin palestinesi – fece irruzione nel villaggio olimpico, sequestrando undici atleti israeliani. Due furono uccisi subito. Gli altri morirono nel drammatico fallimento dell’operazione di salvataggio condotta dalla polizia tedesca. Quell’episodio sconvolse l’opinione pubblica mondiale ma per Israele fu qualcos’altro, ovvero un trauma nazionale.

affare Lillehammer Golda Meir

L’allora premier Golda Meir non lasciò nessuno sulle spine e disse in pubblico ciò che Tel Aviv avrebbe fatto. Secondo le parole della Meir, Israele avrebbe colpito i responsabili, uno ad uno, ovunque si trovassero. Per questo nacque un’unità speciale, separata dal Mossad ma alimentata dalle sue informazioni, con il compito di stanare gli esecutori e i mandanti dell’attacco. Tra i bersagli c’era proprio Alī Ḥasan Salāma, il carismatico capo delle operazioni di Settembre Nero.

Salama era un bersaglio noto, e non per motivi banali. Figlio di un comandante caduto nel 1948 durante la Nakba. Era un uomo raffinato, ricco, cosmopolita, che si era guadagnato una fama di leader spietato e affascinante. Fondatore della Forza 17, l’unità d’élite che proteggeva i dirigenti dell’OLP, era considerato da Israele la mente dietro l’attacco di Monaco. Ma la sua abilità nel muoversi in Europa e in Medio Oriente, intrecciando legami anche con la CIA, lo rendeva un bersaglio difficile.

affare Lillehammer Norvegia

Nei primi mesi del 1973, il Mossad aveva già eliminato diversi membri della lista nera, colpendo anche obiettivi a Parigi e a Beirut. La rete attorno a Salama sembrava stringersi. Poi, all’improvviso, arrivò la soffiata: l’uomo sarebbe stato localizzato in Scandinavia.

Una squadra di agenti fu inviata in Norvegia per seguire i suoi movimenti. I rapporti erano confusi, i pedinamenti incerti, ma la tensione era altissima. A Lillehammer, gli israeliani individuarono un uomo che corrispondeva alla descrizione di Salama. Aveva baffi, tratti mediorientali, e si cimentava in frequentazioni sospette. Lo seguirono, lo studiarono. Nonostante diversi indizi avrebbero dovuto metterli in guardia – parlava norvegese, non aveva alcuna scorta, conduceva una vita fin troppo ordinaria – la decisione arrivò comunque perentoria. Lo avrebbero ammazzato a sangue freddo.

affare Lillehammer omicidio Ahmed Bouchiki

La sera del 21 luglio, davanti alla moglie incinta, due sicari aprirono il fuoco. L’uomo cadde a terra colpito a morte. Non era il Principe Rosso, bensì Ahmed Bouchiki, un cameriere che da anni viveva serenamente in Norvegia. Nel caso in cui il cognome vi suoni familiare, avete ragione. Ahmed era il fratello del musicista Chico Bouchiki, futuro fondatore del gruppo dei Gipsy Kings.

Subito si scoprì l’errore, purtroppo fatale. Così l’uccisione scatenò uno scandalo internazionale. Le autorità norvegesi reagirono con fermezza e, grazie anche all’imperizia degli agenti israeliani, riuscirono ad arrestarne diversi in pochi giorni. Durante le indagini emersero prove schiaccianti del coinvolgimento diretto del Mossad. Gli inquirenti misero mani su documenti, cablogrammi e persino sulle chiavi di rifugi sicuri in Francia. Al processo, molti degli arrestati furono condannati a pene detentive, anche se nessuno rimase in carcere a lungo. Entro 22 mesi, tutti i responsabili – Dan Arbel, Avraham Gehmer, Zvi Steinberg, Michael Dorf, Marianne Gladnikoff e Yigal Zigal – godettero della libertà.

affare Lillehammer commando Mossad

Un innocente però era morto, e nessun sconto di pena o provvedimento giudiziario poteva cambiare la realtà dei fatti. Lo Stato di Israele presentò scuse ufficiali nel 1996, sottoforma di risarcimento. 400.000 dollari andarono alla vedova di Bouchiki, madre di due figli.

L’Affare Lillehammer mise a nudo i limiti dell’operazione “Collera di Dio”. Attirò critiche feroci da parte della comunità internazionale e costrinse il Mossad a ripensare le proprie strategie. Paradossalmente, l’errore non fermò la caccia a Salama. Il leader palestinese continuò per anni a muoversi con disinvoltura, stringendo rapporti persino con i servizi segreti statunitensi. Alla fine, però, anche lui cadde sotto i colpi del Mossad. Accadde il 23 gennaio 1979, a Beirut, fu ucciso dall’esplosione di un’autobomba.

L’affaire Lillehammer resta, ancora oggi, una delle pagine più oscure della guerra segreta combattuta in Europa durante gli anni ’70. Sì, rivelò le drammatiche conseguenze di un errore fatale, di uno scambio di persona; ma disse molto altro. Fece intendere quanto sottile fosse il confine tra giustizia e vendetta, tra operazioni di intelligence e crimini comuni.