Chi studia bizantinistica, sa che il X secolo fu denso di avvenimenti e trasformazioni per l’Impero romano d’Oriente. In questa corrente di studi, si finisce sempre per indicare tre filoni di sviluppo che contraddistinsero i domini di Costantinopoli: uno inerente la riabilitazione del potere imperiale e il rafforzamento dell’amministrazione centrale. Un secondo incentrato sulle campagne militari vittoriose contro minacciose forze esterne. Infine, un terzo legato all’ascesa dell’aristocrazia militare e delle grandi famiglie del notabilato anatolico. Tutto vero, per carità, ma prima che tutto ciò divenisse realtà, i romei dovettero fare i conti con un drammatico evento, a lungo impresso nella memoria dei coevi: il sacco di Tessalonica del 904.

Il sacco di Tessalonica fu una ferita profondissima inferta ad un impero ancora intorpidito dalla secolare rivalità con i musulmani. In quel frangente storico, non era Damasco, bensì Baghdad a dettare le regole del gioco nello scacchiere vicino orientale. Dalla seconda metà del IX secolo si verificarono tuttavia dei grandi rivolgimenti in seno all’Umma. Uno dei più importanti in assoluto fu la cosiddetta anarchia di Samarra, durata dall’anno 861 all’870. Instabilità, decadenza del potere califfale e violenza sfrenata furono i fattori dominanti all’interno della galassia abbaside. Ne approfittarono tante piccole o medie signorie sparse entro i confini califfali. Suddetti potentati, pur dichiarandosi fedeli a questo o a quell’altro califfo, agirono autonomamente in materia politica, economica e soprattutto militare.
L’attenzione di queste dinastie musulmane in gran parte autonome si rivolse successivamente al Mediterraneo. Tripoli e Tarso, sulla costa levantina, divennero dei capisaldi musulmani dai quali far partire ogni operazione militare contro i più prossimi vicini. Leggasi l’impero. Fu in questo esatto contesto che s’inserì la vicenda di Leone di Tripoli – nome fighissimo, se posso dire.

Figura ambigua e affascinante, Leone di Tripoli (che le fonti arabe chiamano Lāwī Abū’l-Ḥārith) era, a discapito del nome, natio di Attália (oggi Antalya, in Turchia). Catturato dai musulmani, raggiunse Tripoli e si convertì all’Islam. Scalò presto le gerarchie e divenne un comandante navale di straordinaria abilità, noto per le sue campagne devastanti lungo le coste romane. Il “rinnegato greco” nel 904, alla testa di una potente flotta corsara salpata dalla Siria, mirò inizialmente ad un obiettivo modesto, umile anzi: Costantinopoli.
La Seconda Roma, protetta da formidabili mura e da una potente catena difensiva posta all’imbocco del Bosforo, si rivelò inattaccabile. Il tripolitano allora cambiò bersaglio, dirigendo la sua attenzione su Tessalonica, la seconda città dell’impero per popolazione e importanza, ma assai meno preparata a difendersi da un attacco via mare. Leone sapeva quel che faceva. Sei anni prima, l’uomo forte del Califfato Abbaside, al-Muwaffaq, sbaragliò una flotta bizantina nell’Egeo. La battaglia navale creò un pericoloso precedente, poiché spianò la strada alle future incursioni saracene nell’area ellenica.
Di ciò che accadde a Tessalonica in quegli ultimi giorni di luglio 904 ci parla Giovanni Cameniate. La sua testimonianza (a suo dire “diretta”, in quanto residente a Tessalonica durante il saccheggio) è da prendere tuttavia con le pinze. Sono parecchi gli storici che bollano la sua opera, La presa di Tessalonica, come un falso storico, data la dissonanza stilistica con i trattati dell’epoca in cui sostiene di aver scritto. Al di là di queste legittime e condivisibili preoccupazioni, la fonte resta di primaria importanza per la comprensione del dramma tessalonicese.

Cameniate sostiene come la difesa di Tessalonica fu gestita in malo modo, per non dire altro. L’allora basileus Leone VI (886-912) incaricò il protospatario Petronas della protezione della città. Egli propose la costruzione di una barriera sottomarina; una sorta di frangiflutti o trappola navale, per impedire alle navi musulmane di avvicinarsi. L’idea si concretizzò solo in parte, perché da Costantinopoli – per ragioni non meglio chiarite – arrivò un secondo comandante in capo: lo stratēgós Leone Chitzilakes. Oh, si chiamano tutti Leone, che posso farci. Quest’ultimo preferì tornare al piano originale, ovvero riparare le mura piuttosto che completare la barriera sottomarina. Immaginate cosa dovettero passare i tessalonicesi quando, per la terza volta nel giro di pochi giorni, l’imperatore cambiò per la terza volta il responsabile della difesa cittadina…
Chitzilakes lasciò l’onere (solo quello, visto che di onore non si poteva parlare in un momento così tragico) a tale Niceta, che poté fare ben poco prima dell’arrivo della flotta. Il 29 luglio 904, dopo un breve assedio, le forze di Leone di Tripoli riuscirono a sfondare le mura, notoriamente deboli e in rovina. Tessalonica fu travolta da una furia devastante: omicidi, incendi, stupri e razzie si protrassero per sette giorni, in un saccheggio sistematico della città.

Il racconto di Cameniate è davvero cupo, nonché dettagliato sull’orrore in cui il sacco di Tessalonica si risolse. Ci descrive la disperazione dei cittadini, il dramma della popolazione che cercava rifugio nelle chiese, e l’incapacità delle autorità romane di organizzare una resistenza coesa. Tra le vittime illustri ci furono intere famiglie aristocratiche, clero e funzionari pubblici. Migliaia di cittadini conobbero la strada della morte o quella, forse più amara, della schiavitù. Ne furono lieti i mercati di Tripoli o di Alessandria. Solo successivamente Costantinopoli riuscì a riscattare alcuni prigionieri, scambiandoli con musulmani catturati in campagne antecedenti.
Il sacco di Tessalonica fu uno shock politico e psicologico per l’Impero romano orientale. Dimostrò quanto fosse vulnerabile anche una grande città costiera, e quanto Bisanzio stesse perdendo il controllo del Mediterraneo orientale. Le incursioni saracene divennero più frequenti, al punto che alcune isole egee furono completamente abbandonate per decenni. A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, si può dire come la disfatta ebbe un’esito quantomeno positivo per i romei. La catastrofe tessalonicese contribuì a stimolare una riforma militare e navale nel corso del X secolo.