Fotografia dell’Associated Press, stabilimento Mitsumi, Tokyo, Giappone, maggio 1963. All’interno di un grande reparto di produzione dell’azienda Mitsumi lavorano centinaia di operaie, sedute ai lati di un lungo nastro trasportatore. Le operaie vestite di bianco partecipano ad una pausa sincronizzata, per la quale devono alzare le braccia e distendersi all’indietro. Si tratta di una pratica conosciuta in Giappone come “sbadiglio collettivo“, un intervallo garantito per contratto durante l’orario di lavoro.

Dietro questa fotografia, scattata nei primi anni ’60 da un inviato dell’AP in Giappone, si cela in realtà l’essenza della produzione industriale giapponese nel Secondo dopoguerra. Un sistema che in tanti casi è stato elevato ad esempio di funzionalità ed efficacia. La Mitsumi, uno dei più grandi colossi industriali nipponici – comunemente noti nel Paese del Sol Levante come zeiretsu – nacque nel 1954 e incarnò alla perfezione questo sistema produttivo tanto decantato.
L’impresa si distinse per la produzione di componenti elettroniche e diede occupazione a decine di migliaia di uomini e donne giapponesi. Come in tutti gli zeiretsu, l’organizzazione interna aziendale rifletteva l’ordinamento della società nipponica, in cui vigeva (e vige tutt’ora) un’etica del lavoro pressoché impeccabile. Da quelle parti tuttavia compresero come il troppo lavoro potesse nuocere alla produttività e come, di conseguenza, fosse necessario implementare dei dispositivi di salvaguardia. Una misura in particolare consisteva in una pausa regolamentata e prese il nome di “sbadiglio collettivo”.

Prima che la fotografia venisse scattata, all’interno dello stabilimento Mitsumi poco fuori la capitale Tokyo risuonò la voce da un altoparlante che invitava le operaie a fermarsi, sgranchirsi e respirare profondamente. Momento eccezionale agli occhi di un occidentale, benché in Giappone siano abituati da tempo a queste pause funzionali.
Il filo rosso che contraddistingue la storia del Giappone d’età contemporanea è la capacità d’adattamento e commistione fra logiche produttive occidentali e tradizionale stile di vita locale. L’esempio industriale calza a pennello. Dalla metà del XX secolo in poi il sistema di produzione si basò su una catena di montaggio fortemente strutturata, simile a quella taylorista-fordista occidentale, ma arricchita da innovazioni gestionali e culturali locali. Proprio per la natura degli zeiretsu, s’impose una visione collettivistica del lavoro. Oltre al dato prettamente economico-industriale, contava anche quello relativo all’armonia e alla salute psicofisica del gruppo di lavoro.

Ecco perché questa del 1963 non è una semplice fotografia immortalante un momento di relax. Dietro c’è tutta una filosofia del lavoro tipicamente giapponese: disciplina, collettività e attenzione alla produttività sostenibile. Lo “sbadiglio collettivo” è ancora oggi una realtà.