Fotografia di Thomas D. McAvoy, Mosca, URRS, marzo 1947. Nello scatto di McAvoy, un uomo e una donna lavorano per la ricostruzione di un edificio nel centro di Mosca. Sullo sfondo campeggiano i campanili delle chiese che contraddistinguono la Piazza Rossa. Il fotografo statunitense si trovava nel cuore dell’Unione Sovietica poiché facente parte del seguito diplomatico che avrebbe preso parte alla conferenza di Mosca inerente il futuro della Germania e le riparazioni di guerra.

Thomas McAvoy, che lavorava per LIFE magazine sin dall’uscita del primo numero nel 1936, era già un veterano della fotografia prima ancora di unirsi alla rivista. McAvoy, classe 1905, si specializzò in scatti spontanei di cronaca. Fu quasi l’unico a usare questo approccio, poiché il ritratto spontaneo era allora rivoluzionario. Il suo talento lo ripagò della fiducia di Franklin Delano Roosevelt, che lo scelse come cronista fotografico presidenziale. Che poi lo bacchettasse proprio per la vena spontanea delle sue fotografie, proibendo tutti gli scatti che non lo ritraessero in posa, è un altro conto.
Eppure la cifra stilistica di McAvoy, improntata sulla naturalezza del mondo circostante, sarebbe riemersa nelle innumerevoli – e per certi versi inedite – istantanee moscovite del marzo 1947. All’inizio di quel mese, la città di Mosca accolse i Ministri degli Esteri di Stati Uniti, Regno Unito, Francia e, ovviamente, Unione Sovietica. Si sarebbe parlato di Germania, del suo futuro, delle riparazioni di guerra che i Paesi vinti avrebbero garantito ai vincitori. Le quattro potenze però non conversero su un comune accordo, e anzi, in quel di Mosca si evidenziarono le profonde divergenze tra gli ex alleati. La conferenza, invece di unire, divise, segnando l’inizio della bipolarità in Europa e nel mondo.

Mentre ciò accadeva, Thomas McAvoy girava libero per le strade della più grande città sovietica. Stranamente libero, poiché (quasi) nessuno della nomenklatura pensò di far scortare il fotografo americano. Ne approfittò l’inviato di LIFE. Egli immortalò una città in lenta ripresa dopo le distruzioni della guerra. La battaglia dell’autunno-inverno 1941 distava oltre sei anni, ma le ricadute materiali dello scontro continuavano a farsi notare, anche nelle arterie urbane più importanti di Mosca.
Nella raccolta fotografica di quel marzo ’47 si trova di tutto, comunque scene di vita quotidiana. Persone che passeggiano lungo le ampie strade moscovite, così come venditrici ambulanti che in piazza vendono palloncini e fiori. Poi luoghi pubblici, come la metropolitana (non ammaliante come oggi, anche se qualche perla la si poteva già ravvisare) o gli interni delle chiese ortodosse. Ancora, i distributori del carburante, le edicole, le pasticcerie, i ristoranti e le sale da ballo. I contrasti fra la modernità dell’automobile e l’arretratezza di chi si sposta grazie a carretto e cavallo.

McAvoy ci regala degli scatti emozionanti, sfuggiti al vaglio della censura, forse perché tutti erano occupati ad interrare i semi della Guerra Fredda, dai quali spunteranno rigogliosi i traumi globali sull’atomica, la deterrenza, la bipolarità politica, sociale ed economica.