Strano che il nome di Abdou Diouf non vi dica niente. Motivi per ricordarlo esistono e sono tanti. Ad esempio, fu eletto come secondo presidente del Senegal nel 1881 e mantenne la carica fino al primo giorno dell’aprile 2000, data in cui avvenne la successione pacifica dietro la scrivania presidenziale senza che l’ex leader fomentasse chissà quale rivolta o proclamasse l’inizio di una guerra civile. L’atteggiamento di Diouf era merce rara per l’Africa di quegli anni. Un altro motivo per cui onorare la sua memoria riguarda la ferma lotta all’HIV (conseguentemente all’AIDS), portata avanti dal suo governo e dal Paese – in quasi tutta la sua totalità! – che esso rappresentò per quasi un ventennio. In un continente dove il virus ha avuto, e continua ad avere, effetti devastanti, il caso senegalese ha fatto e prosegue nel fare scuola.

Negli anni ’80, l’HIV/AIDS si diffuse rapidamente in Africa. In molti paesi la risposta iniziale fu caratterizzata da fattori quali negazione, silenzio politico e stigmatizzazione delle persone affette. Siccome tutto il mondo è paese, le stesse malevolenze accomunavano i paesi del cosiddetto “progredito” Occidente. Tali elementi facilitarono la rapida diffusione del virus. I sistemi sanitari si dimostrarono fragili; l’educazione sessuale era un termine privo di senso logico, e le tematiche legate alla sessualità (soprattutto quelle che riguardavano la prevenzione, come l’uso del preservativo) erano considerate argomento tabù.
Ora, in un siffatto contesto, il Senegal rappresentò un’anomalia. Positiva, per fortuna. Fin da subito, l’esecutivo senegalese adottò un approccio – definito a posteriori dall’UNAIDS, dal quale prendo in prestito gli aggettivi – “proattivo e multilivello”. In definitiva, un modus operandi che integrò politiche sanitarie, campagne di educazione, collaborazione con la società civile e, cosa da non sottovalutare, il coinvolgimento delle autorità religiose. In Senegal accadde un miracolo e buona parte del merito fu di Abdou Diouf.
Ma chi era e come giunse alla presidenza? Il presidente Diouf, succeduto a Léopold Sédar Senghor nel 1981, fu prima di tutto un leader pragmatico. In lui trovò concretezza un atteggiamento decisamente orientato alla cooperazione internazionale e allo sviluppo umano. Non tutti i leader africani coevi potevano dire la stessa cosa, eh. Quando le prime notizie sull’HIV cominciarono a diffondersi in Africa, Diouf non sottovalutò la minaccia. Tutt’altro!

Già nel 1986, quando l’HIV non aveva ancora raggiunto livelli preoccupanti nella nazione dell’Africa occidentale, il governo istituì un comitato statale per la lotta contro l’AIDS. Ciò rese il Senegal uno dei primissimi paesi africani ad affrontare il problema in modo sistemico. Diouf ci vide lungo. Comprese che, per evitare il disastro che si stava profilando altrove, bisognava intervenire in anticipo, prima che l’epidemia prendesse piede. Una scommessa vinta in partenza (col senno di poi).
Quali furono le strategie che Dakar adottò e mise in pratica? In primis si strutturò una campagna di sensibilizzazione e prevenzione senza eguali, coinvolgendo mass media e scuole. La campagna di informazione pubblica partiva da radio, televisioni, giornali e cartelloni pubblicitari, i quali diffondevano messaggi chiari e diretti sul rischio del contagio, sull’importanza dell’uso del preservativo, e sulla necessità di evitare comportamenti a rischio. Poi fu finalmente il tempo dell’educazione sessuale, introdotta nelle scuole con messaggi adattati ai diversi livelli di istruzione e sensibilità culturale. Un passo audace per l’epoca, forse fin troppo spesso sottovalutato agli occhi del cittadino del XXI secolo.

Diouf adottò un approccio che definisco “sistemico” non a caso. Ogni strato della società si vide coinvolto nella lotta alla diffusione dell’HIV. Prendiamo in analisi per un attimo la questione della prostituzione. Fin dal 1969, la legge senegalese permetteva alle sex workers (a voler utilizzare un termine odierno) di registrarsi ufficialmente nelle cliniche sanitarie. Questa pratica – eccezionalmente lungimirante per i tempi e il luogo in cui venne sdoganata; in Italia, al momento in cui scrivo, una cosa del genere ancora non esiste… – fu sfruttata dal governo per creare una rete sanitaria stabile. Le prostitute registrate dovevano sottoporsi a controlli medici gratuiti ogni due settimane, ottenendo assistenza medica e materiale educativo.

La politica appena introdotta si intensificò durante il decennio ’80. Come? Beh, senz’altro con maggiore sorveglianza e assistenza sanitaria, ma senza mai scadere nella criminalizzazione o nella repressione brutale. Riprendendo ancora le parole utilizzate dal documento informativo generale dell’UNAIDS: “Il modello di Dakar era fondato su una logica di sanità pubblica, non di moralismo punitivo“.
Altro elemento degno di nota fu il coinvolgimento delle organizzazioni non governative, sia nazionali che internazionali. Il governo incoraggiò la nascita e l’espansione di ONG che potessero raggiungere comunità e gruppi emarginati con maggiore efficacia rispetto all’apparato statale. Senza dimenticarci poi di una questione appena accennata all’inizio dell’articolo: quella dell’implicazione delle istituzioni religiose.
In tal senso accadde davvero il “miracolo”. Il Senegal è una società profondamente religiosa, in cui l’Islam sunnita convive con una minoranza cristiana attiva. Abdou Diouf, consapevole della forte influenza morale e sociale dei leader religiosi, li coinvolse fin da subito. Anche se non tutti accettarono di promuovere apertamente l’uso del preservativo, molti leader musulmani e cristiani accettarono di parlare apertamente dell’AIDS. Essi contribuirono pesantemente a sfatare i miti secondo cui il virus colpiva solo gli omosessuali o i presunti peccatori.

Comprendete l’entità della vicenda? Sono cose che ancora oggi, nel 2025, esulano dal pensiero e dalla logica di tanti, tantissimi governi considerabili – utilizzo un termine che detesto – del Primo Mondo! Il coinvolgimento religioso fu decisivo, fondamentale, poiché ridusse lo stigma e rese la malattia un problema collettivo, non individuale.
Detto ciò, cerchiamo di capire quali furono i risultati del programma anti HIV/AIDS messo in piedi dal presidente Diouf. Grazie a queste politiche coordinate e precoci il Senegal mantenne per decenni un tasso di infezione da HIV sotto il 2%. Quando in paesi vicini come Costa d’Avorio, Zambia o – per fare un esempio altrettanto noto ma che non si trova proprio dietro l’angolo rispetto all’Africa occidentale – il Sudafrica, si registravano tassi superiori al 10%. Per non parlare poi dei risvolti che definirei “socio-collaterali”. Le relazioni tra Stato, religione e società civile si rafforzarono. Si venne a creare un modello di cooperazione in ambito sanitario che avrebbe poi influenzato altre campagne; vedasi quella contro la malaria o per la salute materna.
Sì, proprio così il presidente Abdou Diouf contrastò l’HIV in Senegal…