Almanacco dell’8 maggio, anno 1157: crolla definitivamente il Sultanato Selgiuchide alla morte del suo ultimo sovrano, Muʿizz al-Dīn Aḥmed Sanjar. Gli storici indicano l’evento dell’8 maggio 1157 come il momento simbolico della fine effettiva della dinastia selgiuchide come potenza unificata. Tuttavia, è importante chiarire il seguente aspetto: la dinastia selgiuchide non cessò di esistere di colpo quel giorno. Essa andava progressivamente sgretolandosi da decenni per ragioni interne ed esterne. La data riportata è significativa perché rappresenta la caduta definitiva dell’autorità selgiuchide nel Khorasan (regione storica oggi spartita fra Iran, Turkmenistan e Afghanistan), una delle sue ultime roccaforti.

La crisi il sultanato la stava vivendo già dal tramonto dell’XI secolo. Nel 1092 morì Malik Shāh, colui sotto il quale l’impero raggiunse la sua massima estensione, inglobando gran parte dell’Anatolia, Siria, Mesopotamia e Persia, sino alla sua estremità orientale. Dopo la sua dipartita, il sultanato cadde in una tremenda spirale di lotte dinastiche e crisi militari. I suoi parenti più prossimi, così come i suoi figli, si fecero la guerra per decenni, disgregando il prestigio dell’autorità centrale. Nel 1118 ascese al trono sultanale Aḥmed Sanjar (1086-1157), uno dei figli di Malik Shāh.

Non pochi governatori rifiutarono la nuova autorità, sottraendosi ad essa attraverso le impervie strade della guerra. Aḥmed Sanjar per questo motivo si ritrovò di fatto a governare la sola Persia selgiuchide. Alla luce di ciò, spostò la capitale del sultanato a Nishapur, nel Khorasan. Durante gli anni del suo regno si ritrovò ad affrontare innumerevoli questioni delicate. Forse la più impellente fu la pressione dei mongoli Karakhanidi che già avevano occupato la Transoxiana.
Contro di loro schierò le ultime forze in essere dell’impero, ma subì una catastrofica sconfitta nei pressi di Samarcanda, in quella che è ricordata dalla storiografia come battaglia di Qatvan (9 settembre 1141). In un sol colpo perse una buona porzione dei territori orientali precedentemente fedeli ai Selgiuchidi. La disfatta rappresentò l’inizio della fine per la dinastia.

Per un altro quindicennio il sultano Aḥmed Sanjar provò a tenere a bada le rivolte interne e le pressioni esterne esercitate dalle popolazioni turco-mongole. Nel 1153, Sanjar cadde prigioniero di una rivolta interna delle tribù turcomanne dei Ghuzz (Oghuz), stanziate nel Khorasan. Queste tribù erano inizialmente alleate o vassalle dei Selgiuchidi, ma si erano ribellate a causa delle pesanti tasse, delle politiche centralizzatrici di Sanjar e della crescente debolezza del potere centrale.

La cattività durò fino al 1156. Liberato, sopravvisse per un altro anno, fino al giorno della sua morte, avvenuta l’8 maggio 1157. Fu sepolto nella città-oasi di Merv, oggi in Turkmenistan. Da quel momento i Selgiuchidi continuarono ad esistere nominalmente in Mesopotamia e in Asia Minore, ma come sultani vassalli o simbolici, sotto il controllo di potenze più forti.