Almanacco del 29 maggio, anno 1855: re Vittorio Emanuele II di Savoia appone la sua firma sulla cosiddetta “legge sui conventi”. È il culmine di una grande crisi istituzionale in seno al Regno di Sardegna, che la storiografia nostrana ricorda come “crisi Calabiana”, dal nome del vescovo di Casale, nonché regio senatore, Luigi Nazari di Calabiana. La crisi Calabiana rappresentò un evento politico di rilievo nel Regno di Sardegna sotto Vittorio Emanuele II. Non fu di certo l’inizio dell’attrito fra monarchia sabauda e Chiesa di Roma, ma segnò una svolta non indifferente nel processo di laicizzazione dello Stato liberale piemontese.

Lo si è appena detto ma è bene ripeterlo: la legge sui conventi che la mano del re firmò e contrassegnò il 29 maggio 1855 era un punto d’arrivo, non d’inizio, di una secolarizzata gestazione cominciata anni prima. Camillo Benso conte di Cavour, capo dell’esecutivo dal 1852, intraprese un percorso deciso verso la modernizzazione e la secolarizzazione delle istituzioni. Uno degli obiettivi fondamentali di Cavour era la limitazione del potere temporale della Chiesa e la riduzione della sua ingerenza nella sfera pubblica, in linea con i principi del liberalismo ottocentesco. Le forze avverse erano tante e accanite, ma qualcosa si mosse già agli esordi del decennio ’50.
Era freschissimo il ricordo del 1850, quando il Regno di Sardegna approvò le fondamentali leggi Siccardi (dal nome dell’allora guardasigilli, il giurista Giuseppe Siccardi), che avevano abolito parecchi privilegi ecclesiastici. Torino si allineò alle altre potenze europee in materia di rapporti Stato-Chiesa, ma la strada per la completa emancipazione da Roma era ancora lunga, impervia e politicamente sconveniente.

Cavour era Primio ministro dal ’52, ma non era riuscito ancora a mettere una toppa sui gravosi problemi che colpivano le finanze del regno. Ciò diede modo all’opposizione, composta da conservatori vicini agli ambienti di corte, cattolici e il più delle volte ben inseriti nelle meccaniche burocratiche, di riorganizzarsi e denunciare l’anticlericalismo del governo liberale. Il premier dovette fare una scelta: radicalizzare la lotta politica affiancandosi alla sinistra anticlericale. Lo fece in accordo con il Ministro della giustizia, Urbano Rattazzi. Il 28 novembre 1854 il governo presentò il disegno di legge sui conventi (ufficialmente “legge Rattazzi n. 878 del 29 maggio 1855”).

Il provvedimento legislativo era un affronto alla forte componente di destra. La legge sui conventi andava a sopprimere alcuni ordini religiosi considerati “inutili” (cioè quelli non dediti all’istruzione o alla carità). Incamerava i beni ecclesiastici di questi ordini e riorganizzava l’amministrazione ecclesiastica in modo da renderla una succursale della sovranità statale. In marzo si andò al voto: la legge passò con 117 voti a favore e 36 contrari.

Al di là della coalizione moderata al governo, furono in pochi a prenderla bene. La Chiesa e il Senato Subalpino tentarono di neutralizzare la legge con una sorta di assistenzialismo clericale. Praticamente si offrirono sussidi ai preti per renderli autosufficienti; un modo per oltrepassare il provvedimento del governo e dimostrare la bontà dell’ingerenza della Chiesa. Re Vittorio Emanuele II, inizialmente contrario alla legge, sondò il terreno per la formazione di un nuovo governo di centrodestra guidato da Giacomo Durando.
In aprile il vescovo di Casale e senatore del regno Luigi Nazari di Calabiana accettò – e questo avvenne in seduta comune – l’offerta di denaro che l’episcopato offriva. Ne conseguì il crollo del primo governo Cavour, offeso dal gesto del prelato e irritato dall’atteggiamento distaccato del re.
Scoppiò ufficialmente la bolla della crisi Calabiana. Sebbene tanti elementi lasciarono presagire ai coevi una deriva conservatrice dello Stato sabaudo, molti altri giocarono a favore di Cavour. Persino Durando, incaricato di formare un nuovo governo più vicino alle istanze ecclesiastiche, disse al re che uno spostamento a destra “avrebbe significato problemi di ordine interno”. Dello stesso avviso erano i più eminenti liberali del regno. Viste le complicanze per la formazione di un nuovo esecutivo, ai primi di maggio il re affidò l’incarico di nuovo al conte di Cavour. Egli tornò in pompa magna, questa volta libero di far passare la legge sui conventi.

La proposta passò al Senato per soli due voti e alla Camera con un più ampio margine. II 28 maggio la Camera l’approvò e il giorno seguente, il 29 maggio, il re la firmò. La reazione della Santa Sede non si fece attendere. Il 26 luglio papa Pio IX scomunicò tutti i sostenitori della legge sui conventi. L’anatema colpiva un po’ tutti: Vittorio Emanuele II, Cavour, i membri del governo e del parlamento. Da quel momento il sodalizio fra Piemonte clericale e monarchia sabauda andò progressivamente dissolvendosi.