Almanacco del 15 dicembre, anno 1025: si spegne a Costantinopoli il sessantasettenne basileus dei Romei Basilio II, detto il Bulgaroctono (Basileios II Bulgaroktonos, ovvero il “massacratore di Bulgari”). La data del 15 dicembre 1025 è un punto di riferimento cardinale per chi intende orientarsi all’interno della sconfinata storia bizantina, poiché in quel giorno non morì un semplice monarca, ma il più longevo della storia romana orientale (e romana propriamente detta).

Andando a ritroso nella storia, o spulciando nei secoli in avanzo prima del fatale 1453, non si scorge un regno più longevo di quello di Basilio II Bulgaroctono. Il suo durò ben 50 anni. In mezzo secolo nella Seconda Roma ne accaddero di cose. Il nostro imperatore, ultimo discendente della dinastia dei Macedoni (salita alla ribalta con un omonimo, ossia Basilio I), sopravvisse – anzi, ne uscì vittorioso – a ben due guerre civili, quando ancora era un giovane porporato.
Ebbe il tempo, oltre che l’abilità, di fare fuori il Primo Impero bulgaro (al quale ho dedicato un approfondimento in passato, questo se siete interessati) e di stabilizzare i Balcani sotto la forza delle armi costantinopolitane. I meriti di Basilio II ci furono e furono evidenti anche in politica interna. Contrappose alla tradizionale aristocrazia terriera una nuova classe dirigenziale, un notabilato composto da burocrati e funzionari imperiali. L’idea era del bisnonno Leone VI il Saggio (886-912), ma lui portò a termine l’intero processo, così da garantire all’impero una stabilità sorretta dalla molteplicità di poteri in concorso. Poi arrivò il giorno più triste, quello del suo trapasso. Sui suoi ultimi atti di governo vanno spese tuttavia delle parole ben più ragionate.
Basilio II era sì un ultrasessantenne, ma nel corpo e nello spirito dimostrava un’energia stupefacente (tanto per gli alleati, quanto per i nemici). L’imperatore era quanto di più simile ad un augusto romano del I-II secolo d.C. Ad amministrare era capace, ma dava il meglio di sé in qualità di comandante di campo, poiché temprato da un’esistenza trascorsa tra campagne militari, assedi, trattative e repressioni. E proprio nel momento in cui stava preparando una nuova, ambiziosa impresa (la riconquista della Sicilia) la sua vita giunse al termine.

Gli ultimi mesi del 1025 furono caratterizzati da un’attività frenetica. Dopo aver domato la rivolta di Niceforo Foca Baritrachelo (1022) e rimesso all’obbedienza i principati armeni e georgiani riottosi, Basilio aveva deciso di rivolgere nuovamente lo sguardo ovest. La Sicilia, perduta nel IX secolo, era un po’ come un nostalgico ricordo che non si vuole abbandonare. Preparare una spedizione navale e terrestre al fine di riconquistarla richiedeva un’enorme mobilitazione. Dunque bisognava pensare agli approvvigionamenti, alla convocazione delle flotte tematiche, poi ai movimenti di truppe e alle aperture diplomatiche con le comunità grecofone dell’isola.
Basilio si dedicava a tutto ciò con determinazione quasi giovanile. Lo storico Michele Psello, pur scrivendo alcuni decenni dopo, osserva che il basileus “non considerava la propria persona se non come strumento dell’Impero”, e che trascurava riposo e salute nella convinzione che “la fortuna avrebbe atteso il suo compimento”.
Proprio mentre i preparativi procedevano, Basilio II si ammalò improvvisamente. Le fonti non concordano sulle cause precise. Psello ci parla di una febbre acuta; Giovanni Scilitze suggerisce un rapido indebolimento dovuto all’età e agli strapazzi. Invece una tradizione più tarda interpreta la malattia come risultato di un “raffreddamento” contratto durante un’ispezione militare autunnale. Quel che è certo è che il 15 dicembre, dopo alcuni giorni di crescente debilitazione, l’imperatore morì nel palazzo imperiale di Costantinopoli, circondato dai più alti dignitari e dai prelati di corte.

La morte colse di sorpresa l’intera macchina statale. Basilio era sì anziano, ma nulla lasciava presagire un trapasso imminente. Secondo la testimonianza di Giovanni Scilitze nel suo Synopsis Historion, Basilio, comprendendo che la fine era vicina, emanò le sue ultime volontà politiche:
- Confermò come successore il fratello minore Costantino VIII, già proclamato co-imperatore da decenni ma mai coinvolto realmente negli affari di Stato.
- Affidò a lui la continuità del progetto siciliano, definito “dovere lasciato in eredità”.
- Raccomandò di mantenere intatte le riforme fiscali e agrarie che avevano contenuto l’aristocrazia terriera.
Ve lo dico fin da adesso: le disposizioni avrebbero avuto vita breve. Costantino VIII era privo di esperienza. Inclinato a una vita di piaceri, non aveva né la volontà né la capacità di gestire un impero che la mano fortissima del fratellone aveva tenuto sotto controllo per mezzo secolo.
La morte del basileus segnò un momento di sincero cordoglio collettivo. Almeno stando a quello che riferiscono le cronache. La popolazione della capitale lo considerava alla stregua di un eroe; il suo funerale attirò una folla immensa. Curiosamente, Basilio non volle essere sepolto nella Chiesa dei Santi Apostoli, tradizionale mausoleo imperiale. Optò per il monastero di San Giovanni Evangelista presso le mura di Costantinopoli. Forse fu un desiderio mosso dall’umiltà o la testimonianza del proprio legame con l’esercito, che spesso si accampava in quella zona.

Il suo epitaffio, riportato dal già citato Scilitze, lo celebra come “colui che lasciò l’Impero più grande di quanto lo avesse ricevuto”. A pensarci bene, è un elogio altisonante, ma non esagerato alla luce della restaurazione dei domini balcanici, dell’espansione nel Caucaso e della stabilizzazione dei confini orientali.
Con la morte di Basilio II il 15 dicembre 1025, la dinastia macedone entrò nella sua fase terminale. Costantino VIII regnò solo tre anni, senza dare una continuità politica alle mire imperiali. Le sue figlie Zoe e Teodora avrebbero mantenuto la dinastia in vita solo nominalmente. Esse però non impedirono il progressivo aumento del potere della burocrazia e della nobiltà provinciale. L’impero, giunto al proprio apice, iniziò lentamente a inclinarsi verso il declino.




