Almanacco del 31 dicembre, anno 1999: Vladimir Putin diviene ufficialmente il 2° Presidente della Federazione Russa, succedendo al dimissionario Boris El’cin. Inizia così il primo dei due mandati presidenziali dell’uomo che ha plasmato la storia recente della Russia.

Quando Vladimir Putin entrò nella scena politica della Federazione Russa, lo fece da completo sconosciuto. Il suo storico, per quanto di rilievo, non era di certo fra i più considerevoli dell’intero panorama politico-oligarchico russo. Leningrado gli ha dato i natali il 7 ottobre 1952. Formatosi nei ranghi del KGB, Putin ha lavorato a lungo nei servizi segreti sovietici, costruendosi una carriera soprattutto nella Germania dell’est.
Con l’Unione Sovietica in procinto di implodere, nel 1990 torna nella sua Leningrado, poi, San Pietroburgo. Qui entra nello staff del sindaco riformista Anatolij Sobčak. Svolge incarichi amministrativi, in particolare nella gestione dei rapporti economici esteri della città, costruendosi una reputazione di funzionario efficiente, leale e poco ideologico. La sconfitta elettorale di Sobčak nel 1996 sembra arrestarne la carriera. La realtà dei fatti è ben diversa, poiché rappresenta il trampolino verso Mosca.

Il biennio ’96-’97 è centrale in tal senso. In quegli anni Putin entra nell’amministrazione presidenziale di Boris El’cin, in un contesto di profonda instabilità. L’economia è in crisi profonda, il potere degli oligarchi è totale e lo Stato è succube di quest’ultimi. Si aggiunga la guerra in Cecenia che pare irrisolta e irrisolvibile. Poi c’è lui, l’elefante nella stanza: El’cin. Il presidente appare sempre più malato, consumato dall’alcol, delegittimato politicamente. Mentre il suo astro degrada tempestivamente, con altrettanta rapidità ascende quello di Putin.
Testimonianza diretta della scalata degli apparati si ha nel 1998, quando diventa prima vicedirettore dell’amministrazione presidenziale, poi, nel luglio dello stesso anno, direttore dell’FSB, il servizio di sicurezza partorito dal morente KGB. La nomina è cruciale, dato che segna il ritorno dei cosiddetti siloviki (uomini degli apparati coercitivi) al centro del potere russo.

Nel 1999 è chiaro a tutti come El’cin abbia le ore contate. Perfino lo stesso presidente lo sa e cerca di muoversi in tal senso. Vede in Putin un ottimo successore: sembra un grigio burocrate, scaltro il giusto, opportunista e per niente aggrappato a inutili chiodi ideologici. Cosa più importante, il presidente uscente cerca qualcuno che garantisca l’immunità giudiziaria per sé, per la sua famiglia, e per la cerchia a lui fedele.
In agosto lo nomina Primo ministro e la Duma approva. Agli occhi dell’opinione pubblica è il perfetto sconosciuto, ma al vertice dell’oligarchia russa appare idoneo. Oltre alle caratteristiche precedentemente elencate, ricordiamo come in quel 1999 Putin era essenzialmente un uomo d’ordine, privo di una base politica autonoma e storicamente legato agli apparati statali. C’era puzza di marionetta, ma sarebbe svanita in un batter di ciglia.

Scoppiata la seconda guerra cecena in quell’autunno – per via di alcuni sanguinosi attentati dinamitardi in Russia, attribuiti ai separatisti islamisti, ma dei quali paternità la storiografia internazionale ha più di qualche dubbio) Putin adotta una linea dura. Parla di restaurazione dell’autorità statale, di zero pietà per i terroristi ceceni, e questo gli garantisce una certa visibilità e un netto sostegno popolare.
Poi arriva il capodanno, l’ultimo 31 dicembre del millennio, la porta del vecchio secolo si chiude, ma quella del nuovo si apre con un evento inaspettato. Boris El’cin, con un gesto inatteso ma politicamente calcolato, annuncia le dimissioni. Lo fa in un discorso televisivo alla nazione – in cui NON dice di essere stanco e di volersene andare; quello è frutto dell’effetto Mandela. Scartati a priori gli altri concorrenti alla presidenza (rivali politici di El’cin come il primo cittadino moscovita Jurij Michajlovič Lužkov e l’ex Primo ministro Evgenij Primakov), la nomina ricade sul classe 1952 di Leningrado/San Pietroburgo.

È la Costituzione che lo prevede: il Primo ministro assume ad interim la massima carica dello Stato se chi lo ha preceduto presenta le dimissioni. Il 31 dicembre 1999 inizia la storia, ormai pluridecennale, della presidenza Putin. Un percorso attualissimo che, astenendomi da giudizi assolutamente non richiesti, ha oggettivamente trasformato la Russia post-sovietica.




