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Al-Ḥākim, la follia di un califfo

Al-Ḥākim, la follia di un califfo

Un quarto di secolo, dal 996 al 1021, in cui la città del Cairo, e per estensione i territori sui quali si estendeva il dominio fatimide, conobbe la follia di un califfo decisamente fuori dagli schemi. Il suo nome era al-Ḥākim, ossia al-Ḥākim bi-amri llāh (traducibile in “governante per decreto di Dio”); fu il sesto Imām della dinastia dei Fatimidi a regnare sul Cairo e la sua è una storia che, fidatevi, va raccontata.

Al-Ḥākim, la follia di un califfo

Per completezza d’informazione mi piacerebbe prima ripercorrere in breve il processo storico che ha condotto la dinastia sciita ismailita dei Fatimidi a costituire un impero vastissimo, ricchissimo, strategicamente potente e politicamente protagonista. È una storia che affonda le sue radici agli albori del X secolo, quando una fazione di musulmani sciiti decide di spostarsi dalla Siria per stanziarsi nel Maghreb. A voler fare i puntigliosi, essi stabilirono la loro base di potere in Ifrīqiya (Tunisia), che era il nome con cui gli arabi definivano la provincia romana d’Africa. Presto il loro leader, l’imàm, istituì un califfato in Nord Africa, distante politicamente e religiosamente da Baghdad e dagli Abbasidi.

L’anno che ci deve interessare è però il 969. Accadde che una spedizione militare fatimide riuscì nell’intento di rovesciare il governo egiziano (mantenuto da una famiglia in nome del Califfato abbaside) e instaurare un nuovo tipo di regime. Insediatosi l’Imàm-califfo al-Mu’izz, egli ordinò la costruzione della nuova città di al-Qahira, ossia “la Conquistatrice”. Oggi sulle mappe la trovate scritta come Il Cairo.

I Fatimidi riuscirono in un piccolo miracolo: far tornare la Valle del Nilo al centro delle dinamiche politiche, militari ed economiche di quell’epoca. Nell’XI secolo si espansero notevolmente, fino a controllare quasi per intero la sponda meridionale del Mediterraneo, tutto l’Hegiaz, la fascia levantina e parte dell’entroterra siriano, l’attuale Yemen e la costa occidentale del Mar Rosso fino al suo imbocco. L’autorità fatimide si estendeva sulle tre città sante dell’Islam: La Mecca, Medina e Gerusalemme. Un’epoca dell’oro che arti figurative, letteratura, poesia, processi macroeconomici e documenti testimoniano con nettezza. In tutto i sovrani fatimidi furono undici; di questi, il sesto fu senz’altro il più controverso.

Al-Ḥākim bi-amri llāh nacque nel 985 nella capitale dell’imamato ismailita-fatimide. La morte improvvisa del padre nel 996 ne segnò automaticamente la presa del potere. Ora, se la matematica non ci inganna, aveva solo 11 anni quando ciò accadde. Visto il dato anagrafico, a farne le veci fu Abū l-Futūḥ Barjawān. Eunuco di corte, sveglio come pochi altri, perfetto padrone della gigantesca e articolata macchina amministrativa califfale. Barjawān detenne la reggenza per quattro anni, ovvero fino a quando il quindicenne monarca non decise di assassinarlo con le proprie mani e con l’ausilio di un servo.

Al-Ḥākim estensione Fatimidi XI secolo

Le fonti musulmane ci parlano di al-Ḥākim come di un uomo profondamente interessato all’astrologia. In questo non c’era niente di strano, poiché era un tratto comune dell’ismailismo. Fra le stelle cercava segnali predicenti e ciò influenzò enormemente il suo carattere.

Risale al 999 – ancora durante la reggenza – un primo ordine: di tenere le riunioni consiliari alle primissime ore dell’alba. Durante le notti più buie, l’imam passeggiava fra le desolate strade del Cairo. Non pochi abitanti lo notarono, anche se le attività commerciali erano naturalmente chiuse. Quindi al-Ḥākim decise di ribaltare la routine di decine di migliaia di esercenti. Comandò che si lavorasse di notte e che si riposasse di giorno. Per controllare l’osservanza della sua parola, iniziò a camminare in solitaria e nel più assoluto anonimato.

Il regno di al-Ḥākim si svolse all’insegna dell’estrema austerità. Cosa che stonava col tenore dei precedenti monarchi, abituati allo sfarzo, al gusto dell’estetica, nonché all’ostentazione. Andando contro la moda del tempo, il califfo si fece crescere i capelli; poi alle rigide regole morali imposte, aggiunse dei divieti veramente bizzarri, che spaziavano dal non poter andare in barca al non poter realizzare calzature femminili. Inoltre era vietato passeggiare lungo le sponde del Nilo o cantare in pubblico.

Impose alle donne del Cairo l’interdizione dagli spazi pubblici. Alcuni storici hanno collegato questa sua durezza alla figura influente di Sitt al-Mulk. Chi era costei? Sua sorellastra, per cominciare. Figlia di un cristiano romano (o forse copto, non è ben chiaro), entrò nelle grazie del quinto imam-califfo, dunque del padre di al-Ḥākim, per la sua oggettiva bravura nelle questioni di governo. Al volgere del millennio, Sitt al-Mulk era incastrata perfettamente nelle maglie dell’amministrazione fatimide. Esistono delle testimonianze che però gettano nell’ombra il suo operato, sottolineando invece la sua promiscuità. Assai probabile che questi documenti accusatori fossero parte della propaganda di al-Ḥākim, genuinamente contrario alla posizione di rilievo della donna (già solo per il fatto di essere donna) e forse – ma non v’è certezza in questo – perché per essa coltivò un’attrazione incestuosa.

Al-Ḥākim califfo del Cairo

Ma le ordinanze più folli dovevano ancora arrivare. Sua fu la volontà di gettare nel Nilo tutto il miele custodito dei magazzini del Cairo, come suo fu il decreto d’abbattimento di tutti i cani della capitale fatimide nel 1005 – i cani sono tendenzialmente considerati impuri secondo i precetti islamici. Alcuni provvedimenti sfidavano persino le rigide raccomandazioni insite nel Corano. Per non farsi mancare nulla, perseguì tutti i cristiani, gli ebrei e i musulmani non sciiti che non volevano convertirsi. Fu un unicum nella storia del governo fatimide, che invece era stato fino ad allora molto attento a esercitare un potere temporale senza intaccare il multipolarismo religioso di quelle terre. L’apologia di questo comportamento fu la distruzione, nel 1009, del Santo Sepolcro di Gerusalemme.

Se fino ad adesso abbiamo inquadrato il califfo fatimide semplicemente come un pazzo despota capriccioso – cosa che in parte fu davvero, attenzione – bisogna anche spendere due parole “buone” per il suo impegno culturale. Egli fece erigere nel 1005 la Dār al-Ḥikma (“Casa della Sapienza”, sulla falsa riga di quella situata a Baghdad). Una biblioteca contenente 600.000 volumi, fra i più preziosi codici di quel tempo. Gran parte di questo patrimonio andrà perso nel secolo successivo, nel pieno della decadenza fatimide.

Gli ultimi anni del califfato di al-Ḥākim trascorsero sotto il segno di un nuovo protagonista, una sorta di deus ex machina. Anzi, a me piace inquadrarlo come un Rasputin ante litteram. Da Oriente – presumibilmente dalla Persia – giunse nel palazzo califfale del Cairo un missionario ismailita di nome Ḥamza ibn ‘Alī. Il califfo iniziò a pendere dalle sue labbra. Nel 1020, sotto l’ala di Ḥamza, il sovrano fatimide dichiarò la sua natura divina. Cosa mai accaduta nella storia dell’Islam, infatti la reazione del popolo, oramai stanco, si fece furente. Il malcontento generatosi a seguito dell’iperbolica svolta teologica sorprese al-Ḥākim, il quale mosso dall’ira decise di ridurre in macerie Fusṭāṭ, il primitivo nucleo urbano del Cairo.

Al-Ḥākim moschea del Cairo

Ormai assorto nello spiritualismo predicato da Ḥamza, il califfo salì in groppa ad un asino e abbandonò per sempre la sede del potere fatimide. Era il 13 febbraio 1021 e sulle pendici del monte Muqaṭṭam, la principale altura del Cairo, al-Ḥākim fece completamente perdere le sue tracce. Il dibattito che ruota attorno alla sua scomparsa si sofferma su due ipotesi: o lo fece assassinare Sitt al-Mulk, o lo uccise qualcuno che non lo aveva preso in simpatia, ma senza sottotrama politica.

A sostegno della prima versione ci sarebbe l’esplicito fatto storico. Sitt al-Mulk tenne la reggenza per qualche anno prima di lasciare le redini del potere ad ʿAlī al-Ẓāhir, figlio del pazzo califfo. Pochissimi dei provvedimenti presi dal sesto califfo fatimide gli sopravvissero. Solitamente con la sua morte si fa coincidere il travagliato ma lungo periodo di declino dell’Imamato dei Fatimidi, crollato definitivamente nel 1171.