Storia Che Passione
"Ha fatto anche cose buone..."

“Ha fatto anche cose buone…”

“Sì, dai, avrà sbagliato ad allearsi con i tedeschi, ma se ci pensi, in Italia Muss.lini ha fatto anche cose buone“. Quante volte avete sentito questa frase? Magari espressa con parole diverse, ma il concetto alla base è sempre identico. Secondo una buona fetta della popolazione italiana (e non solo), il fasc.smo avrebbe garantito al nostro Paese dei spiccati avanzamenti strutturali – ravvisabili in sfere quali il commercio, l’industria, il lavoro, l’istruzione, l’ordine pubblico, ecc. – da soli in grado di addolcire, se non addirittura far rivalutare (in senso positivo), l’esperienza dittatoriale della durata ventennale. Va bene, dati alla mano, snoccioliamo la storia di queste presunte “cose buone” fatte dal regime fasc.sta. E, se possibile, cerchiamo di delineare la loro reale genesi, oltre che il loro effettivo impatto sulla nazione.

"Ha fatto anche cose buone..."

Prima un appunto per contestualizzare. Perché si è soliti definire il fasc.smo in Italia come l’esperienza storica di un movimento antipartitico in principio, poi in Stato-partito e infine regime totalitario? Già sento sbuffare, ma fidatevi: dare una risposta a questa domanda equivale a fornire una cornice concreta (e non ideale, come qualcun altro fa da decenni) entro la quale poter tratteggiare le caratteristiche intrinseche del fasc.smo italiano.

La dittatura nata con Muss.lini è definibile totalitaria dal momento che non si limitò ad un governo oppressivo delle libertà e del dissenso. No, si andò oltre. Si cercò (e in un certo senso si ottenne) il controllo pervasivo e, per l’appunto, totale delle masse, della vita dei cittadini, del loro tempo libero, del loro modo di pensare e agire. La pretesa era quella di mantenere mobilitati in maniera permanente tutti gli italiani grazie alle attività organizzate e supervisionate per intero dallo Stato fasc.sta o comunque da appendici corporativiste legate a doppio filo al volere del Duce.

Questa realtà delle cose – che tuttavia sarebbe limitante ritenere immutata nel tempo, perché che ci piaccia o meno, anche il regime cambiò forma, adattandosi alle inevitabili contingenze storiche – perdurò dal 1922 al 1943. Dalla marcia su Roma all’armistizio di Cassibile. Nell’Italia centro-settentrionale il fasc.smo sopravvisse, come ben sappiamo, per altri due anni, anche se depotenziato e di fatto vincolato alle decisioni prese a Berlino. La Repubblica Sociale Italiana esalò l’ultimo respiro verso la fine di aprile del 1945.

cose buone marcia su Roma

Malgrado la catastrofe della Seconda guerra mondiale, contro la quale siamo finiti per esclusiva volontà degli apparati apicali fasc.sti, e benché prima di questa l’Italia in camicia nera visse all’insegna della discriminazione etnico-religiosa, politica, di genere, della violenza normalizzata e istituzionalizzata, qualcuno osa dire che grazie al Duce si sono fatte anche cose buone.

A questo specifico proposito (e giuro che con questa riflessione obbligata e dovuta, concludo la premessa) va detta una cosa. Vent’anni di governo totalitario sono parecchi. Così come parecchie erano le politiche di lungo corso che la morente Italia liberale aveva partorito prima di concedersi all’imperante novità d’estrema destra. Ergo, gli effetti riscontrati in alcuni settori socio-economici derivarono da decisioni prese prima del 1922. Inoltre Muss.lini si guardò bene dal non sviluppare alcuni dei provvedimenti di lungo respiro, consapevole che, alla fine dei conti, avrebbe potuto arrogarsi i meriti della loro efficacia. Succedeva all’epoca, e succede ancora oggi. Terminata la prefazione (manco fosse un saggio storico, oh), entriamo nel cuore dell’argomento.

I treni in orario – Lo diciamo tutti assieme? Dai, “quando c’era LVI i treni non ritardavano neppure di dieci secondi”. Questa è uno dei crediti al regime più diffusi e bonariamente accettati. Ovvio che non è vero, perché gli imprevisti, per loro stessa natura, sono incalcolabili e di certo la dittatura fasc.sta – che tutto poteva controllare tranne che la casualità degli eventi – non sfuggiva alle regole entropiche. Sapete invece cosa controllava, e anche bene? L’informazione. Se un treno ritardava, non lo si veniva a sapere, o comunque non se ne parlava pubblicamente.

cose buone Opera Nazionale Balilla

Le politiche giovanili – Il Duce li ha tolti dalla strada, ha dato loro uno scopo, e ha insegnato il significato dell’amor patrio. Questa è la faccia della medaglia luccicante; l’altro verso brilla un po’ di meno. Le organizzazioni giovanili sorte nell’Italia degli anni ’20 (Opera Nazionale Balilla, Giovani Fasc.sti, Gruppi Universitari Fasc.sti…) servivano ad uno scopo: creare i “fasc.sti del domani”. L’ordine inequivocabile era quello di irreggimentare e militarizzare i più giovani, abituarli al linguaggio della violenza ed educarli secondo i valori sfoggiati dal partito. Sebbene la partecipazione a queste organizzazioni non fosse obbligatoria, era fortemente raccomandata (se non imposta). Un bambino o una bambina, nei suoi anni più belli, non poteva scegliere cosa fare, ma doveva sottostare ad uno schema rigido, deleterio per la formazione di un’autonoma volontà.

Il sistema pensionistico italiano – Non è durante il Ventennio che gli italiani hanno scoperto quel meraviglioso strumento previdenziale che lo Stato garantisce (o dovrebbe garantire) e che oggi chiamiamo “pensione”. Il primo sistema previdenziale in Italia appare al tramonto del XIX secolo – 1898 per l’esattezza. Esso riguardava i dipendenti pubblici; poi nel 1919 finisce per inglobare anche il privato. Semmai l’Italia fasc.sta ha corretto alcune storture, ha sistemato qualche conto sballato, ma non ha deviato la natura di un sistema in vigore da decenni. Nel 1933 il governo prese la Cassa nazionale per le assicurazioni sociali e la trasformò in Istituto nazionale fascista della previdenza sociale (INFPS, oggi INPS). Forse è per questo che si ha la sensazione che il Duce abbia inventato le pensioni, ma non è affatto così.

Onestà ed efficienza, prima di tutto – Spesso si sente dire che in quell’Italia regnava sovrano l’ordine, la disciplina, l’onestà e l’efficienza. Tutto funzionava come doveva e i rappresentanti delle istituzioni fasc.ste agivano nella più accordante condotta morale. Propaganda a parte, niente di ciò era vero. O meglio, qualche buon cuore ci sarà pure stato, ma i più alti papaveri del regime erano collusi col malaffare (Gian Galeazzo Ciano, per dirne uno su mille), abusavano della loro posizione di potere e sguazzavano nella più putrida corruzione. Onestà ed efficienza…

cose buone bonifiche agrarie

Le bonifiche agrarie – Ah, questa è una delle più inscalfibili. Allora, come dire, ehm… le bonifiche agrarie in Italia sono figlie dell’età giolittiana. Le cosiddette “bonifiche integrali”, attribuite erroneamente ed esclusivamente al buon senso di Muss.lini, facevano parte di una progettualità volta alla trasformazione di territori malsani e paludosi in zone abitabili che però col regime aveva poco a che fare. La dittatura investì importanti risorse nell’Agro Pontino, nel Lazio, e la propaganda fece di quest’atto l’opera magna del Duce, ma da quelle parti i lavori iniziarono nei primi del Novecento.

La propaganda parlò poi di 4 milioni di ettari bonificati su tutto il territorio nazionale, ma di questi 1,5 milioni avevano conosciuto l’intervento dei governi liberali. Su altri 2 milioni di ettari il regime di Muss.lini non terminò mai i lavori, lasciando l’onore agli esecutivi democratici del secondo dopoguerra.

Un prestigio finalmente rispolverato – Fra le presunte “cose buone” partorite dal regime si annovera il ritrovato prestigio dell’Italia sulla scena internazionale. Merito del Duce e dell’impronta che ha voluto dare alla politica estera italiana durante gli anni ’20 e soprattutto gli anni ’30 del XX secolo. Effettivamente dall’estero degli attestati di stima giunsero alle orecchie degli italiani, ma quasi mai da Paesi “allineati” sul piano ideologico, e quasi mai ritenuti “amici”. Dopo la guerra di conquista in Etiopia (1935) e l’Asse Roma-Berlino (1936), gli apprezzamenti internazionali iniziarono a scarseggiare. Poi, per non cadere in equivoci, fu ancora una repubblica fasc.sta, quella di Salò, a collaborare all’Olocausto, alle deportazioni e, più in generale, a partecipare attivamente agli stermini di massa.

cose buone crimini di guerra

Italiani brava gente – Il libro di Filippo Focardi, intitolato Il cattivo tedesco e il bravo italiano: la rimozione delle colpe della seconda guerra mondiale (Editori Laterza, 2014), mette in luce un aspetto che, subito dopo la conclusione della più terrificante guerra ad aver mai colpito il nostro pianeta, è passato in sordina, per specifiche volontà di convenienza geopolitica: ovvero che la dittatura mussoliniana non abbia causato il male che invece avrebbero causato gli altri regimi totalitari coinvolti nel secondo conflitto mondiale, Terzo Reich e Unione Sovietica. È una pericolosa, pericolosissima illusione.

Facendone una mera questione di numeri, è vero, l’Italia non ha causato gli stessi morti che i tedeschi hanno conteggiato meticolosamente nei loro registri, così come l’Italia non ha messo in atto delle pratiche d’internamento mortali in egual misura dell’URSS di Stalin con i gulag. Come se le cifre potessero sbiadire o accentuare il senso alla base della questione.

Ma la storia non si fa solo con i numeri, bensì anche con i processi sistematici, le intenzioni. Fattori magari meno appariscenti, eppure egualmente centrali in un discorso logico che abbia capo e coda. L’Italia fasc.sta è quel Paese che ha messo in carcere migliaia di oppositori politici solo perché rei di pensarla diversamente. Quel Paese che ha mandato al confino omosessuali, gruppi etnici minoritari, persone con neuorodivergenze. Il regime si è macchiato di crimini di guerra di inenarrabile brutalità nei Balcani, nell’Egeo, in Libia, in Etiopia, e altrove in Europa. Ecco le “cose buone” della dittatura italiana.

Purtroppo non c’è peggior cieco di chi non vuol vedere.