Storia Che Passione
Accadde oggi: 12 settembre

Accadde oggi: 12 settembre

Almanacco del 12 settembre, anno 1919: a capo di una colonna armata volontaria composta da circa mille uomini, il poeta italiano Gabriele d’Annunzio occupa la città di Fiume. È l’atto primo di una lunga e tortuosa vicenda, durata ben sedici mesi, e conclusasi con le disposizioni del trattato di Rapallo, lo sgombero forzato attuato dal Regio Esercito italiano e l’istituzione dello Stato libero di Fiume. L’impresa di Fiume però fu molto altro. In particolare quella iniziata il 12 settembre 1919 fu un’avventura militare, oltre che simbolica (e quindi politica) guidata da un poeta, Gabriele D’Annunzio, che seppe trasformare una crisi internazionale in una vera e propria liturgia nazionalista.

Accadde oggi: 12 settembre

Forse questa è fra le storie più note dell’Italia interbellica, e c’è una ragione precisa che giustifica la fama dell’episodio. Visti i personaggi coinvolti e la stagione che il nostro Paese avrebbe vissuto di lì a breve, Fiume divenne emblema di tutte le storture retoriche di un nazionalismo ferito nel profondo, per questo desideroso di vendetta. Bisognava dunque rivalersi, ma contro che cosa? La “vittoria mutilata” vi dice qualcosa?

All’indomani della Prima guerra mondiale, l’Italia usciva vincitrice ma profondamente delusa. I trattati di pace non avevano garantito al Regno i territori promessi con il Patto di Londra. Ad esempio non le concedevano la città di Fiume, a maggioranza italofona (che però non compresa negli accordi del 1915). Lo sconforto si tradusse in rabbia. Sentimenti che Gabriele D’Annunzio – uno che può piacere o meno, ma indubbiamente con le parole ci sapeva fare – seppe convogliare nel mito della “vittoria mutilata”. Era uno slogan mirato, affatto fine a se stesso, che presto fece presa su reduci, nazionalisti e giovani idealisti convinti che i sacrifici della guerra non fossero stati adeguatamente ricompensati.

Proprio a Fiume la tensione era altissima. La popolazione italiana guardava a Roma, mentre le potenze vincitrici discutevano se assegnare la città al nascente Regno dei Serbi, Croati e Sloveni. Nel frattempo, sul posto operavano Consigli nazionali contrapposti (italiano e croato) e si moltiplicavano incidenti con le truppe interalleate.

12 settembre Patto di Londra

In questo clima, D’Annunzio rispose presente. Il poeta ed eroe di guerra volle incarnare il fuoco della rivolta. Alcuni ufficiali dei Granatieri di Sardegna, di stanza a Ronchi di Monfalcone, gli scrissero chiedendogli di guidarli a Fiume: “Fiume o morte!”, gli dissero, interpretando la città come simbolo di un’Italia incompiuta.

L’11 settembre 1919 D’Annunzio raggiunse i reparti ribelli. All’alba del 12 settembre, a bordo di autocarri requisiti e seguito da volontari irredentisti, Arditi e ufficiali fedeli, partì la colonna ribelle che sarebbe passata alla storia come quella della “Marcia di Ronchi”. Il governatore militare, nella persona del generale Vittorio Emanuele Pittaluga, tentò di fermarli. I suoi ordini non sortirono alcun effetto. Non si sparò neppure un colpo. La disciplina militare cedette al fascino del poeta-soldato, che procedette spedito verso Fiume.

12 settembre legionari fiumani

Quando D’Annunzio e i suoi uomini varcarono il confine ed entrarono a Fiume, una folla festante li accolse. Nel pomeriggio, affacciandosi dal Palazzo del Governo, il Vate pronunciò uno dei suoi discorsi più celebri. Egli proclamò l’annessione della città all’Italia, definendo Fiume “faro luminoso” in un mondo travolto da menzogna e viltà. Qui di seguito le esatte parole:

«Italiani di Fiume! Nel mondo folle e vile, Fiume è oggi il segno della libertà; nel mondo folle e vile vi è una sola verità: e questa è Fiume; vi è un solo amore: e questo è Fiume! Fiume è come un faro luminoso che splende in mezzo ad un mare di abiezione… Io soldato, io volontario, io mutilato di guerra, credo di interpretare la volontà di tutto il sano popolo d’Italia proclamando l’annessione di Fiume.»

12 settembre discorso palazzo del governo Fiume 1919

Per D’Annunzio e i suoi seguaci, quel giorno segnava l’inizio di un’esperienza nuova, un misto di gesto politico e rituale estetico. Lo stesso poeta lo avrebbe ribattezzato la “Santa Entrata”, quasi a trasfigurare l’occupazione in un atto sacro, un ingresso trionfale paragonabile a quelli celebrati nei fasti veneziani o nelle epopee medievali.

La presa di Fiume non fu un atto isolato. Per oltre sedici mesi la città restò sotto il controllo dei “legionari” dannunziani. D’Annunzio istituì la Reggenza italiana del Carnaro, sperimentando una forma di governo che univa spirito rivoluzionario, estetica futurista e corporativismo ante litteram. La città divenne una sorta di laboratorio politico, con feste, rituali, spettacoli e un culto della personalità che anticipava in parte le liturgie del Ventennio.