Almanacco del 12 agosto, anno 1990: la paleontologa Sue Hendrickson e il suo team riportano alla luce uno dei fossili dinosauri più completi e meglio conservati di sempre. Quel 12 agosto 1990 riemerse dalle sabbie dell’oblio un eccezionale esemplare fossile di Tyrannosaurus rex, che sarebbe stato poi ribattezzato “Sue”, in onore della sua scopritrice.

E pensare che tutto ebbe inizio con un imprevisto. Un gruppo di ricercatori del Black Hills Institute of Geological Research, guidato da Peter Larson, stava conducendo una campagna di scavi nella riserva del Cheyenne River, situata nel territorio dei Lakota Sioux. Per dovizia di cronaca, ci troviamo South Dakota, lo Stato del centro-nord americano famoso per il Monte Rushmore.
Chicche a parte; la zona, già nota per la ricchezza di fossili del Cretaceo superiore, era stata concessa temporaneamente per scavi scientifici. Quel giorno il lavoro di campo subì un’interruzione inattesa. Infatti uno dei veicoli del team forò una gomma. I paleontologi decisero di approfittare della pausa per fare manutenzione al mezzo e riposare, ma Sue Hendrickson, paleontologa autodidatta che nella vita ha lavorato un po’ ovunque, dai mari caraibici agli aridi deserti latinoamericani, scelse invece di allontanarsi per esplorare una parete rocciosa che aveva adocchiato giorni prima.

Percorse da sola circa 11 km in quattro ore, sotto un sole cocente. Raggiunta la base del dirupo, vide qualcosa che la colpì immediatamente. Erano frammenti ossei! Essi affioravano dalla roccia sedimentaria. Hendrickson, che subodorò la portata della scoperta, raccolse alcuni dei frammenti e tornò rapidamente al campo.
Larson vide le massicce vertebre che la Hendrickson aveva riportato indietro e pensò subito all’eccezionalità del ritrovamento. Quelle vertebre non appartenevano a un generico rettile preistorico, ma erano chiaramente riconducibili a un grande dinosauro teropode carnivoro. Il giorno successivo, l’intero team si diresse sul luogo e cominciò con cautela a scavare. Dalle operazioni di scavo emerse un tesoro paleontologico senza precedenti.

Nel corso di alcune settimane, il gruppo dissotterrò 250 ossa, un numero impressionante se si considera che un Tyrannosaurus rex ne ha circa 360 in totale. In termini numerici, lo scheletro era completo al 73%, ma considerando la massa ossea complessiva (inclusa la presenza del cranio, elemento rarissimo almeno in quello stato di conservazione), la completezza superava il 90%.
In onore della scopritrice i protagonisti della scoperta si accordarono per ribattezzare il fossile “Sue”. Un nome semplice, è vero, ma destinato a rimanere inciso nella storia scientifica. Dopo la delicatissima fase di estrazione, gli addetti trasportarono i resti altrove, e li custodirono per sottoporli a studi approfonditi. Questi durarono anni, e nel mentre affiorarono dispute legali di ogni tipo; un capitolo complesso della vicenda che non deve interessarci. Restiamo concentrati sulla scoperta del 12 agosto 1990. Il team aveva trovato il più grande e meglio conservato T. rex mai documentato, un gigante lungo circa 12,4 metri, alto quasi 4 metri e con un peso stimato in 8,4 tonnellate.

Se avete in programma un viaggio a Chicago, passate dal Field Museum. Lì avrete il piacere di conoscere Sue, e Sue avrà il piacere di conoscere voi. Non proverà a divorarvi come avrebbe fatto 67 milioni di anni fa, durante il Cretaceo superiore. Avete la mia parola!