Fotografia di Randy Eli Grothe, Guadalupe Peak, Texas, USA, luglio 1982. Un gruppo di scalatori paraplegici scala la vetta del Guadalupe Peak, la montagna più alta dell’intero Stato del Texas. Si tratta di un’impresa senza eguali, un magnifico e stimolante esempio di forza, coraggio, abnegazione e resilienza. La dimostrazione esplicita, nel caso servisse, di quanto sia vera la seguente affermazione: se ci credi, puoi.

Michael “Shorty” Powers ci credette davvero a quell’impresa e volle dimostrare al mondo di poter fare qualunque cosa, nonostante l’impedimento – che tanto impedimento non fu, visti i risultati conseguiti – e le previsioni dei più scettici. E allora presentiamolo il leader di quella scalata così incredibile.
Powers nel 1979 fondò POINT, un’associazione con il compito di promuovere attività all’aria aperta per persone con disabilità. L’associazione era parte di un più ampio movimento, affermatosi a cavallo tra gli anni ’70 e ’80 per i diritti delle persone con disabilità. L’attivismo di Shorty Powers assunse assunse una forma decisamente originale. Come ebbe a dire egli stesso: «Non volevo solo parlare della nostra condizione. Volevo uscire e mostrare alla gente di cosa si può essere capaci anche su una sedia a rotelle».

Così il nostro mise in piedi un team di cinque uomini (sei inizialmente, poi uno si ammalò e rinunciò alla scalata). Essi affrontarono la montagna su sedie a rotelle appositamente modificate, dotate di pneumatici rinforzati e sistemi per il trasporto dell’equipaggiamento da campeggio. Il loro obiettivo – si sarà capito – non era semplicemente quello di raggiungere la vetta, ma dimostrare al mondo che la disabilità non rappresenta un limite assoluto, ma solo una condizione con cui confrontarsi. Con la giusta volontà, preparazione e spirito di squadra, era possibile superare anche le sfide più ardue.
Dall’altra parte c’era lui, il Guadalupe Peak, con i suoi 2.667 metri d’altezza, maestosamente affacciato sul deserto di Chihuahua. Non una delle montagne più alte e più complicate da scalare del Nord America, beninteso, ma era pur sempre un severo ostacolo da dover affrontare e possibilmente vincere.

Il percorso che un escursionista esperto può completare in circa quattro ore, fu per questo gruppo un viaggio di cinque giorni, durissimo e spossante, attraverso sentieri accidentati, pendenze ripide e vegetazione fitta. Le sedie a rotelle non erano motorizzate: ogni movimento richiedeva uno sforzo estremo, spesso ci si doveva letteralmente arrampicare con le braccia, trainando dietro di sé l’intero peso del corpo e della sedia. Nella foto, sintesi perfetta realizzata dal fotoreporter Randy Eli Grothe, si vede chiaramente il volto determinato di Powers, che trascina con tenacia se stesso e il suo zaino attraverso un campo erboso fitto, guidando la squadra con carisma e forza d’animo.

Alla fine ce la fecero in tre, poiché gli altri due dovettero rimanere indietro per problemi tecnici. Il buon esito non fu quello che tutti noi crediamo. Non fu raggiungere il punto più alto del massiccio roccioso, al contrario. Il solo tentativo di mettersi così arduamente alla prova, cercando di tramutare l’impossibile in possibile, fu il vero trionfo dell’escursione. Perché se ci si pensa, Powers e compagnia vinsero il Guadalupe Peak, ma affrontarono con successo anche quella montagna, spesso ostacolante, chiamata “pregiudizio“.
La fotografia fu così potente da meritarsi un riconoscimento al World Press Photo Contest del 1983. Non solo per la qualità tecnica dello scatto, secondo me oggettiva, ma soprattutto per l’intensità del messaggio umano che riuscì a trasmettere.