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Foto del giorno: panico a Duisburg

Foto del giorno: panico a Duisburg

Fotografia di Uwe Weber, Duisburg, Germania, 24 luglio 2010. Il panico sovrasta ogni altro pensiero, la furia della ressa è tale da far soccombere 21 persone, decedute in quello che è passato alla storia come il disastro del LoveParade di Duisburg. Presente all’evento che sarebbe dovuto essere di festa e gioia estiva il fotografo Uwe Weber, autore di uno scatto celeberrimo, raffigurante la tragedia in procinto di materializzarsi. L’odierna immagine vuole ricordare quel dì, a suo modo storico, avvalendosi come sempre del potenziale espressivo del medium fotografico. Potenziale che fortunatamente non rimase celato; i giudici del World Press Photo 2011 premiarono la fotografia col secondo posto nella categoria “People in the News” data la sua intensità visiva e la profondità narrativa.

Foto del giorno: panico a Duisburg

La LoveParade nacque nel 1989 a Berlino come manifestazione musicale e politica, simbolo della cultura techno e della libertà giovanile post-Muro. Nel corso degli anni, si trasformò in un gigantesco festival itinerante, attirando in varie città teutoniche milioni di partecipanti provenienti da tutto il mondo. Insomma, il festival evento era abbastanza sentito. Non è un caso se gli organizzatori preannunciarono oltre un milione di persone per l’edizione del 2010.

Un milione di vite sono tante, ma le autorità competenti diedero il via libera per un massimo di 250.000 individui, ovvero la massima capacità che la dismessa stazione merci di Duisburg poteva accogliere. Già questo doveva essere un campanello d’allarme; ahinoi, inascoltato.

Anche la scelta dello scenario non fu proprio scevro da polemiche. Dopo anni e anni di manifestazioni musicali all’aperto, la LoveParade si tenne al chiuso. Si trattava di una novità. Purtroppo si sarebbe rivelata funesta. L’entusiasmo delle grandi occasioni prevalse su tutte le complicazioni, paventate e non, poiché Duisburg, all’epoca capitale europea della cultura, voleva mostrarsi bella e spumeggiante, anche se farlo avrebbe comportato fatalità facilmente prevedibili.

Duisburg ressa 24 luglio 2010

L’ingresso nella vecchia stazione merci della città renana iniziò intorno alle ore 12:00. Il percorso era obbligato: la folla festante doveva attraversare un tunnel lungo 240 metri e una serie di sottopassaggi prima di giungere su una rampa, al contempo unico varco d’ingresso ed uscita del festival. L’intero circondario industriale era sprovvisto di indicazioni chiare o di una segnaletica votata all’orientamento dei partecipanti. Il sovraffollamento fece il resto.

Intorno alle ore 15:30 gli organizzatori chiesero alle forze dell’ordine di bloccare l’afflusso. Le arterie di comunicazione per la rampa erano sature. L’ingresso di nuove persone avrebbe comportato quasi sicuramente un collasso. Calcoli pateticamente tardivi. Fattori quali la pressione della calca, il timore che certamente alimentò il panico di alcuni partecipanti, la sensazione di essere in trappola, scatenarono la ressa definitiva. Fu causa di morti e feriti: 21 e 510 per la precisione. Venne a mancare anche un’italiana, la ventunenne bresciana Giulia Minola.

La macchina fotografica di Uwe Weber fu vivida testimone del disastro. Egli seppe cogliere un’angolazione davvero particolare. Scattò dall’alto, sottolineando la densità soffocante della folla. I corpi appaiono ammassati e distorti; la loro disposizione innaturale riflette lo stato di panico, sofferenza e caos. Come evitare l’aggancio cromatico? I toni vivaci (magliette, fiori hawaiani, capelli tinti) stridono con la tragedia in atto, rivelando l’originaria atmosfera festosa spezzata dalla catastrofe umana. L’aggroviglio di mani e volti addolorati si commenta da sé.

Duisburg LoveParade 2010 disastro

Incredibile pensare al fatto che, nonostante il luttuoso avvenimento, la LoveParade andò avanti, imperterrita nel suo obiettivo: scongiurare ulteriore panico e far divertire. Dopo la tragedia, il festival fu definitivamente cancellato. Le autorità tedesche furono accusate di negligenza, ma un lungo processo giudiziario si concluse nel 2020 senza condanne penali, nonostante prove evidenti di errori organizzativi.