Storia Che Passione
Uno smartphone dipinto nel 1937 complottismo ci risiamo

Uno smartphone dipinto nel 1937? Complottismo, ci risiamo…

Continua la mia crociata contro il complottismo sfrenato, vera piaga del XXI secolo e sintomo lampante di un’ignoranza rumorosa e per certi versi svilente. Mi sono già speso in occasione dell’astronauta di Salamanca, opera architettonica di cui si è ampiamente discusso in rete, ma per le ragioni sbagliate. Oggi invece tocca ad un murale degli anni ’30 del Novecento, nel quale comparirebbe un nativo americano intento a “scrollare” (termine tecnico) con il suo smartphone la home page di Facebook, forse Instagram, o perché no, visto che ci siamo, TikTok.

Uno smartphone dipinto nel 1937 complottismo ci risiamo

La parte del web meno accorta è impazzita, tirando in ballo i sempreverde viaggi nel tempo, dunque l’esistenza dei tunnel spazio-temporali e chi più ne ha, più ne metta. Chiarisco subito un po’ di cose: qui si parla di arte e di nulla più. Non ci sono smartphone che tengano o aggeggi futuristici comparsi nell’epoca meno adatta (OOPArt, oggetti fuori dal tempo).

L’opera d’arte finita dietro la sbarra degli imputati si intitola Mr. Pynchon and the Settling of Springfield, realizzata dall’artista italiano Umberto Romano nel 1937 ed oggi facente parte del compartimento decorativo interno all’edificio governativo di Springfield, città del Massachusetts. La storia di Romano è strettamente legata a quella di Springfield. Nato nel 1906 a Bracigliano, vicino Salerno, il piccolo Umberto compì la speranzosa traversata atlantica, giungendo negli USA. Il destino lo condusse, per l’appunto, nella sopracitata cittadina del Massachusetts, ove giunse a 9 anni.

smartphone dipinto di Umberto Romano

Dotato di un riconoscibile estro artistico, Umberto Romano studiò prima nella Howard Street School e successivamente nella Central High School. In seguito affinò le proprie capacità pittoriche in scuole specializzate e presso i musei locali. Ecco come giunse, nel 1937, ad installare (con il supporto di altri studenti) sei pannelli murali nel principale ufficio postale di Springfield. Il progetto fu sottoscritto dal Federal Arts Project.

I murali raffiguravano la storia cittadina e in uno di essi – l’oggetto dell’inutile discussione complottistica: Mr. Pynchon and the Settling of Springfield – spiccava (e spicca tutt’ora) la figura di William Pynchon, il fondatore della città. Egli è circondato da personaggi meravigliosamente caratterizzati, sia per collocazione spaziale e simbolismo da espresso, sia per tonalità dei colori. Non è complicato individuare prigionieri, animali, natura vegetale, nativi americani. Tra quest’ultimi ve n’è uno, situato nella sezione centrale del murale, che tra le mani sembra stringere uno smartphone. Storcere il naso è pressoché inevitabile, visto che i primi telefoni cellulari compariranno a distanza di 60 e più anni dalla realizzazione dell’opera.

smartphone Mr. Pynchon and the Settling of Springfield

Purtroppo per il complottismo universale quello non è uno smartphone, anche se per il nativo che impugnava quell’oggetto, doveva sembrare qualcosa dell’altro mondo, letteralmente. Il rettangolino nero è quasi certamente uno specchietto. Altri sostengono una bibbia, come nel caso della donna di Ferdinand Georg Waldmüller; anche di questo parlai all’epoca, suscitando più incomprensioni che altro. Facile ipotizzarlo, vista la compresenza di altri utensili e prodotti commerciali. Gli specchi vennero introdotti presso i nativi proprio dagli europei nei primi decenni del XVII secolo. Il murale di Romano si riferisce proprio a quel periodo.

Concludo con una promessa solenne: finché avrò fiato, animo e determinazione, mi batterò per scongiurare ogni forma di complottismo, anche nella sua primordiale fase di incubazione. È sempre stato il male del mondo, ma in un’epoca in cui l’informazione circola più veloce della luce e nella quale il sovraccarico di stimoli finisce per eludere la nostra “soglia di guardia”, il complottismo prolifera. Forse non si agisce adeguatamente per eradicarlo – questa è anche un’autocritica che doverosamente mi pongo – ma in buona fede cerco di combatterlo dando me stesso e anche di più, se posso. Prosegue la MIA crociata.