In una realtà parallela lo Stato d’Israele si troverebbe nell’Africa centro-orientale, affacciato sul lago Vittoria e circondato da paesi quali Kenya, Sudan del Sud, Repubblica Democratica del Congo, Ruanda e Tanzania. Posta così, sembra di parlare di fanta-geopolitica; invece ci fu un momento nella storia, inquadrabile più o meno fra l’ultimo decennio del XIX secolo e i primissimi anni del XX, in cui il supposto scenario divenne quasi realtà. Tutto per via di un piano colonialista insediativo, a conduzione anglo-sionista, conosciuto come Uganda Scheme, che traduciamo in “Progetto Uganda“.

Gli attori coinvolti in questa storia sono facili da individuare. In primo piano abbiamo il governo coloniale britannico, incarnato dall’entità protettorale dell’Africa orientale. Dall’altro lato del ring, spicca lui, Theodor Herzl, padre del sionismo pensiero e del sionismo movimento. Colui che trovò nell’impero di Sua maestà un fedele collaboratore affinché l’immigrazione sionista avesse il suo certo seguito in Palestina. Lo stesso uomo che condusse ben cinque congressi sionisti mondiali prima di arrivare al 23 agosto 1903, data del sesto, tenutosi a Basilea, in cui presentò a oltre 400 partecipanti il progetto avvallato dal Regno Unito in cui si inscriveva esplicitamente Erétz Yisra’él, la Terra d’Israele, entro i confini geografici dell’Africa Orientale Britannica.
Viene da chiedersi, dopo questa breve premessa, come si sia giunti a proposte apparentemente così azzardate? Ebbene, il Progetto Uganda nacque, si sviluppò e morì prima della pratica attuazione, per meri calcoli colonialisti, politici ed economici. Stesso discorso si potrebbe fare sull’origine dell’attuale Stato d’Israele in Palestina, ma questo non né il tempo adeguato né la sede adatta per discuterne. Insomma, l’Africa Orientale Britannica all’alba del Novecento era una forma di statualità in cui vigeva sovrana l’autorità dell’imperatrice Vittoria (fino al 1901) e poi di suo figlio, nonché successore, Giorgio V. Ma la situazione per il protettorato inglese era tutto fuorché florida.

Gli investimenti fatti a partire dagli anni ’80 dell’Ottocento per potenziare l’economia di sfruttamento non avevano reso chissà quanto. L’Imperial British East Africa Company (IBEA), ovvero la compagnia commerciale che esercitava un controllo indiretto sulla colonia africana, s’avviò sulla strada del declino economico e commerciale già nel 1895. A causare la caduta del gigante economico furono un mix di diversi fattori negativi: infrastrutture scadenti, instabilità finanziaria, malagestione delle risorse, oltre a debiti contratti pressoché insanabili. Cessata l’attività dell’IBEA, a Londra decisero di istituire il protettorato e trasferire la gestione della colonia al Ministero degli Esteri. Nuova gestione, nuovi progetti.
Con l’obiettivo di sfruttare il potenziale commerciale delle regioni interne, gli inglesi costruirono la ferrovia dell’Uganda. Essa finì per costare ai contribuenti un totale di 5.244.000 sterline. Nelle casse imperiali ne tornarono poco più della metà. A complicare ulteriormente il quadro s’impose la seconda guerra anglo-boera. Per queste esatte ragioni gli inglesi iniziarono a pensare che, in fondo, una mano nell’amministrazione e nella gestione economica, potesse tornare utile. A chi chiedere? Ma chiaramente a Herzl e al Sionismo mondiale!

Perché proprio loro? Si è scritto pocanzi “meri calcoli colonialisti, politici ed economici”; cerchiamo di dare una forma a questa affermazione. In quel momento storico nell’Europa dell’est si stavano verificando dei violentissimi pogrom antiebraici. Uno in particolare smosse le coscienze di quanti credevano di dover agire secondo il bene del Sionismo mondiale: il pogrom di Chișinău dell’aprile 1903. Oltremanica si volle controllare meticolosamente l’afflusso migratorio ebraico per non danneggiare il tessuto lavorativo britannico già abbastanza sfilacciato. L’amministrazione imperiale pensò quindi di reindirizzare gli ebrei – vicini alle istanze colonialiste insediative tipiche del Sionismo – verso una nuova patria: in Palestina, chiaramente… Ma anche l’Uganda poteva essere un’idea.
In Uganda l’arrivo dei sionisti avrebbe solo che giovato al governo coloniale. Essi avrebbero portato con loro soldi e uomini, linfa vitale per riavviare la macchina industriale nata in simbiosi con la grande ferrovia ugandese. Inoltre avere in Africa centro-orientale un interlocutore del genere sarebbe stato cruciale (almeno nelle idee del premier Joseph Chamberlain) per le future politiche in Sudafrica, in cui nuovamente sarebbero tornate utili le relazioni con il movimento sionista.

Lord Chamberlain si convinse della bontà del Progetto Uganda durante il viaggio nell’Africa Orientale Britannica del 1902-1903. Herzl, seppure non convintissimo dell’idea (nel voler fondare una patria ebraica egli spingeva per Cipro, il Sinai o la sempreverde Palestina), incaricò Leopold Jacob Greenberg – giornalista ed energico promotore del sionismo in Inghilterra – di trattare i termini dell’Uganda Scheme col Segretariato Coloniale.
Greenberg ottenne con successo una lettera dal Foreign Office che esprimeva la volontà del governo britannico di stabilire una colonia ebraica con “considerevole territorio, autonomia locale e libertà religiosa interna, sotto il suo controllo generale”. Nel Sesto Congresso Sionista, svoltosi nel 1903 a Basilea, in Svizzera, Herzl presentò la proposta. Il congresso votò a favore dell’invio di un gruppo di inchiesta in Africa orientale (295 sì contro 178 no).
Il fatto che Herzl assecondasse i programmi geopolitici inglesi non piacque alla frangia più integralista del movimento sionista. Alcuni giudicarono l’atteggiamento del leader come un tradimento ai punti del programma di Basilea (manifesto del movimento, approvato all’unanimità nel 1897, in cui si diceva chiaro e tondo come la Terra d’Israele si fosse trovata in Palestina e non altrove…).
Sbuffavano allo stesso identico modo i coloni inglesi già insediatisi in Africa orientale. Essi vedevano nell’immigrazione sionista un’evidente (ed evitabile) minaccia ai loro affari in loco, messi fra l’altro a dura prova dalle inclinazioni sfavorevoli dell’economia globale. I coloni fondarono persino un “Comitato antisionista per l’immigrazione“. Ad amplificare il coro di dissenso ci pensarono i media casalinghi in Gran Bretagna, non esattamente convinti dell’idea.

Purtroppo, essendo questo un gioco marcatamente colonialista e denigratorio delle istanze della popolazione locale soggetta al dominio europeo, non conosciamo i pareri e i pensieri di chi quella terra la viveva e la coltivava da tempi immemori. Al dicembre 1904, l’Organizzazione Sionista inviò una commissione speciale a Uasin Gishu per valutare se le condizioni fossero adatte all’insediamento ebraico. La commissione ritenne “implausibile” un focolare nazionale ebraico nella regione dei Grandi Laghi. L’iniziativa naufragò definitivamente nel 1905.
Il Progetto Uganda partorì una sua creatura prima di spirare per sempre. Questa sua creatura rispondeva al nome di Organizzazione Territoriale Ebraica (ITO). L’ITO salì alla ribalta della cronaca proprio nel 1903 e si istituzionalizzò due anni dopo, nel 1905. Fin da subito si posizionò in antitesi con alcuni dei principali esponenti del movimento sionista. L’organizzazione spingeva per trovare una collocazione territoriale adatta agli ebrei (dunque permaneva l’ideologia sionista basata su logiche d’insediamento) ma che fosse alternativa alla Palestina. L’ITO, promotrice dello Statismo Ebraico, ebbe vita relativamente breve. Nel 1925 cessò di esistere, quando ormai il progetto colonialista insediativo il Palestina era bello che avviato…