Storia Che Passione
fallout shelter

Perché negli USA ci sono ancora i cartelli di Fallout Shelter?

Diciamo che forse non è la prima cosa che balza agli occhi se si va in vacanza negli USA. Ma provate a farci caso: qua e là, in giro, potreste ancora trovare appesi i classici cartelli di Fallout Shelter. Ma perché questi sbiaditi cartelli che indicano la presenza in zona di un rifugio antiatomico (quelli che vediamo abbondantemente anche nel videogioco Fallout e nella relativa serie TV) sono ancora appesi? La Guerra Fredda non era finita? Beh, la risposta breve è: stanno ancora lì a causa del vil denaro. Per la risposta lunga, continuate a leggere.

La storia dei cartelli Fallout Shelter

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Crediti foto: @Japs 88, CC BY-SA 4.0, via Wikimedia Commons

Questa storia ha inizio negli anni Sessanta, quando Washington e Mosca, in piena Guerra Fredda, rischiarono di causare un disastro nucleare mondiale. Il 25 luglio 1961, l’allora presidente USA, John F. Kennedy, dichiarò in televisione che il governo aveva l’obbligo morale di proteggere i cittadini dalla minaccia nucleare.

Prima di annunciare ufficialmente il piano che avrebbe creato dei rifugi antiatomici pubblici in tutto il Paese, Kennedy dichiarò: “Riconoscere la possibilità di una guerra nucleare nell’era dei missili, senza che i nostri cittadini sappiano cosa fare e dove andare se le bombe iniziassero a cadere, sarebbe un fallimento di responsabilità”.

E poi annunciò il piano. I membri del National Shelter Program si erano messi al lavoro per individuare spazi pubblici adatti in edifici esistenti e rifornirli di beni di prima necessità in modo da garantire la sopravvivenza. Attenzione: si parla di spazi pubblici appositamente, in quanto in realtà gli USA avevano già tantissimi rifugi antiatomici di proprietà privata. Solo che tali rifugi, essendo privati, non erano accessibili alla maggior parte delle persone.

Ciascun rifugio poteva ospitare 50 o più persone ed era contrassegnato con l’apposito cartello Fallout Shelter (o National Fallout Shelter), quello che conosciamo tutti: sfondo giallo, cerchio nero con tre triangoli gialli e scritta in giallo “Fallout Shelter”. L’Ufficio di Protezione Civile del Dipartimento della Difesa inaugurò il cartello il 1 dicembre 1961.

La combinazione dei colori era stata studiata appositamente dagli psicologi: era un catalizzatore di attenzione. E sui giornali comparvero foto che spiegavano che, in caso di attacco nucleare, i cittadini dovevano seguire le frecce.

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Crediti foto: @ National Archives and Records Administration, Public domain

Entro il 1964 il programma riuscì ad allestire rifugi sufficienti per ospitare 120 milioni di persone (considerate che l’obiettivo iniziale era di 20 milioni di persone). Questi rifugi antiatomici erano di forme e dimensioni diverse. Alcuni erano costruiti e gestiti direttamente dal governo, altri, invece, erano dati in licenza a terzi.

Ciascun rifugio doveva avere una capacità minima di 50 persone e doveva avere una superficie utile di 9 metri quadrati se la struttura era ventilata e di 15 metri cubi se non era ben ventilata.

Il Dipartimento della Difesa ideò anche dei premi annuali per quegli studi di architettura he avrebbero integrato i rifugi nei loro edifici, mentre il Pentagono si adoperò per condurre indagini in modo da identificare strutture ed edifici maggiormente resistenti alle radiazioni. E scoprì che dighe, tunnel, grotte e i piani superiori dei grattacieli erano i posti migliori dove ripararsi dal Fallout nucleare.

Ma attenzione: questi rifugi non potevano proteggere le persone da un’esplosione nucleare. Quello che potevano fare era proteggerle dalle radiazioni scatenate da un’esplosione nucleare. Se una città veniva colpita da una bomba nucleare, non ci sarebbe stato rifugio che tenesse. Tuttavia, se si viveva in una zona lontana dall’impatto, molto molto lontana, ecco che si sarebbe potuto trovare riparo in un secondo momento in questi rifugi, in modo da proteggersi dall’avvelenamento da radiazioni.

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Crediti foto: @Public domain, via Wikimedia Commons

Il Programma consigliava di rimanere in casa per almeno 48 ore dopo un attacco nucleare (se non si era nell’epicentro, ovviamente). A quel punto i livelli di radiazioni sarebbero scesi dal livello “altamente pericoloso” al livello “moderatamente pericoloso”, permettendo così ai sopravvissuti di raggiungere i rifugi.

Ovviamente non si poteva vivere all’infinito in questi rifugi. Ogni struttura aveva scorte sufficienti per due settimane, comprensive di alimenti non deperibili, acqua, kit medici e rilevatori di radiazioni. Tuttavia, durante gli anni Settanta e Ottanta, mentre USA e Unione Sovietica passavano alla de-escalation e mentre la Guerra Fredda piano piano cessava, ecco che il Programma Nazionale di Rifugio dovette ridurre le proprie attività. Con il disarmo seguito al Trattato sulle Forze Nucleari a Raggio Intermedio del 1987, poi, il programma divenne obsoleto.

Il che vuol dire che i finanziamenti federali al programma cessarono di arrivare. Non ci furono neanche i soldi per smantellare i rifugi, i quali rimasero lì come erano, con tanto di cartelli di Fallout Shelter ancora appesi in giro perché non c’erano soldi per toglierli.