Tecnicamente eccelsa, eppure sottovalutata, questo è lo strano pegno che la civiltà della valle dell’Indo deve pagare al giorno d’oggi. Chi è del mestiere non compie questo banale errore; sa benissimo quanto sia stato fondamentale l’apporto culturale, tecnologico e sociale che l’altresì detta civiltà vallinda ha lasciato in eredità ai posteri. Si potrebbe dire tanto, ma davvero tanto in tal senso, tuttavia il mio intento in questa sede è ben delineato. Vorrei, assieme a voi, esplorare le capacità infrastrutturali, idrauliche, urbanistiche e, ultime ma non per importanza, igienico-sanitarie sviluppate dalle varie città-stato sorte lungo il corso dell’Indo, da Harappa a Mohenjo-daro, passando per Lothal, Dholavira, Sutkagen Dor e via dicendo.

Oltre 5.000 anni fa, intorno al 3000 a.C., la civiltà della valle dell’Indo iniziò a fiorire lungo l’omonimo fiume che attraversa parte del Subcontinente indiano. Nelle stesse aree che oggi costituiscono la frontiera – più incandescente che mai – fra il Pakistan orientale e l’India nord-occidentale. La storiografia anglosassone la definisce anche “civiltà dell’Indo-Sarasvati” (il Sarasvati è l’altro corso d’acqua sulle sponde del quale sorsero importanti centri urbani del tempo) ed è una delle prime culture evolute al pari dei coevi in Mesopotamia ed Egitto.
Gli abitanti della valle dell’Indo vivevano già in città organizzate con raziocinio e padroneggiavano l’arte della scrittura. Pensate che già intorno al IV millennio a.C. cominciò a configurarsi quella cultura – seppur nella sua forma embrionale – che di lì a poco sarebbe sbocciata in continui flussi commerciali, distinto artigianato, produzione agricola intensiva, arte avanzata (del periodo sono rimaste alcune pietre ornamentali utilizzate negli scambi). La civiltà della valle dell’Indo s’impose definitivamente a partire dal 2.600 a.C., ovvero quando i piccoli agglomerati vicini fra loro iniziarono ad unirsi, dando vita a città in cui vigeva un ordine logico e funzionale.

Non sono parole al vento e cercherò, qui di seguito, di darvene prova. Migliaia di abitanti raccolti in un unico luogo comune significò la necessità, fino ad allora ignorabile, di rendere l’apparato urbano efficiente ed ottimale in tutte le sue prerogative. Ciò si tradusse in perfezionamenti nelle infrastrutture, nell’ingegneria idraulica, nei dispositivi di approvvigionamento idrico e di conseguenza nella strutturazione di un archetipico sistema fognario. Stiamo parlando di acquedotti, canali muniti di chiuse e deviamenti, fogne, vasche di contenimento; non per dire niente, ma siamo a circa 2.000 anni dalla nascita della Roma monarchica!
Una delle conquiste tecniche più impressionanti della civiltà vallinda è lo stupefacente – sempre per gli standard dell’epoca – sistema di drenaggio urbano. Ogni abitazione, anche le più modeste, era collegata a un sistema fognario coperto. Le acque reflue venivano raccolte in canali sotterranei rivestiti in mattoni e dotati di chiusure ispezionabili, per facilitare la manutenzione. Fogne coperte correvano lungo i lati delle strade principali, con pozzetti di scolo regolari per la pulizia. Le prime testimonianze di servizi igienico-sanitari urbani si trovano ad Harappa, Mohenjo-daro e nella città di Rakhigarhi (quest’ultima rinvenuta dagli archeologi da pochissimo).

Come nelle strade, così nelle case! In esse si trovavano gabinetti in muratura, spesso collocati al primo piano, con tubature in terracotta che scaricavano direttamente nelle fogne sotterranee. Abitazioni che spesso e volentieri erano dotate di stanze da bagno. Capito? Stanze da bagno! Ambienti pavimentati con mattoni e pendenze progettate per il drenaggio dell’acqua. Una simile diffusione di bagni e latrine private è rara o assente in altre civiltà antiche dello stesso periodo (e dei periodi successivi).
Gli scavi a Mohenjo-daro offrono una prospettiva ancor più chiara e, a parere degli antichisti, eccezionale. Svariati team di archeologi nei decenni hanno riportato alla luce oltre un centinaio di pozzi. Data la quantità e la collocazione, si pensa che questi pozzi servissero alle singole unità abitative o, alla meno peggio, ai gruppi familiari riuniti. L’acqua pulita era chiaramente separata da quella di scarico. Evidente è la consapevolezza igienica sofisticata in seno alla civiltà della valle dell’Indo.

Esperti, ricercatori e studiosi si sono posti nel tempo delle domande inerenti questa tendenza igienica: scaturì da necessità esclusivamente pratiche o ci mise lo zampino una sorta di influenza religiosa-spirituale? L’attenzione all’igiene non era solo pratica, a quanto pare. Verosimilmente era legata a valori culturali o religiosi. Si tratta di supposizioni, poiché della religiosità vallinda si hanno conoscenze limitate, però è possibile che la “purezza rituale” possa aver giocato un ruolo di rilievo, analogamente a quanto si osserva nelle successive tradizioni religiose del Subcontinente – ovvio il riferimento all’Induismo – nelle quali l’atto di lavarsi ha un valore purificatore.
Detto ciò, vi lascio con il monito iniziale: per favore, non sottovalutate la civiltà della valle dell’Indo, non se lo merita!