Prendete una mappa del mondo e puntate il dito sull’India occidentale. Se dotati di una vista ottimale, riuscirete a notare lo stato di Maharashtra, e nello specifico la località di Ellora. Bene, se avete seguito i miei suggerimenti alla perfezione, il vostro dito indicherà uno dei complessi religiosi più straordinari del Subcontinente, ma che dico, dell’intero pianeta. Non mi credete? Beh, sappiate che ad Ellora si trova un luogo sacro agli induisti, noto come tempio di Kailasa, (quasi) unico nel suo genere, contraddistinto da una bellezza mozzafiato, resa ancor più suggestiva dalle modalità della sua costruzione. Infatti lo realizzarono nell’VIII secolo intagliando dall’alto verso il basso un unico ammasso roccioso. Signore e signori, avevo la vostra curiosità? Spero di aver guadagnato la vostra attenzione.

Il tempio di Kailasa, situato nel complesso di Ellora, è uno degli esempi più straordinari di architettura monolitica al mondo. I costruttori sotto la dinastia Rashtrakuta (753-982) scavarono una collina in senso verticale asportando la bellezza di 200.000 tonnellate di roccia basaltica. Il tempio è l’attrazione principale, ma non l’unica: fa parte di un ricco complesso religioso che può vantare 34 fra caverne, templi minori e monasteri, tutti venuti alla luce seguendo la medesima tecnica costruttiva.

Il lavoro congiunto di storici, critici d’arte e archeologi ha stabilito che sebbene le prime operazioni di scavo risalgano alla metà dell’VIII secolo, durante il regno di Krishna I (746-774 ca.), gli ultimi ritocchi siano stati effettuati nel XVIII secolo inoltrato, perciò a mille anni di distanza.

Le iscrizioni e le cronache attribuiscono a Krishna I il patrocinio dell’opera, in particolare per onorare il dio Shiva, nella sua forma del Monte Kailasa (la montagna sacra dell’Himalaya, dimora di Shiva). Ciò che spesso passa in sordina è il carattere plurireligioso del complesso di Ellora. Al suo interno si possono trovare luoghi di culto sacri agli induisti, ma anche ai buddisti e ai giainisti.
Il tempio di Kailasa in tal senso è noto agli addetti con la dicitura “grotta n.16”. Ebbene, questa spicca per scala, complessità e ingegnosità. La si definisce scultura monolitica per via della sua struttura, unica e compatta, realizzata grazie alla tecnica top-down. Ciò significa che non è stata costruita per aggiunta di materiali, ma intagliata a partire dalla cima della roccia verso il basso: un’impresa di rara audacia tecnica, c’è da dirlo.

Ho specificato all’esordio, tra parentesi, che il tempio fosse quasi unico nel suo genere. Questo perché l’antica tecnica architettonica si affermò in India in quei secoli e portò alla costruzione di edifici simili, ma non uguali per colpo d’occhio e impatto circostanziale.
Il corpo centrale della struttura è attorniato da un cortile a forma di U, ricavato dai fianchi della stessa altura. Degno di considerazione è anche il maestoso portale che conduce al tempio. All’interno di quest’ultimo è facile perdersi nei raffinatissimi dettagli artistico-architettonici tipici dello stile dravidico. Gli intagli su pareti e colonne raffigurano divinità induiste e scene mitologiche, alcune riprese dal Ramayana. Per intenderci, è la controparte indiana dei poemi omerici, epopea redatta tra l’VIII e il VII secolo a.C.

Kailasa è considerato il culmine dell’arte rupestre indiana, non solo per la tecnica, ma per l’ambizione spirituale e artistica del progetto. L’UNESCO l’ha inserito nella lista dei patrimoni materiali dell’umanità. Riconoscimento che oggettivamente è da ritenere più che dovuto per un qualcosa di così strabiliante. Non credete?