Un qualunque scriba vissuto fra il V e l’VIII secolo avrebbe svolto il suo lavoro solo se munito di inchiostro, un calamo e una pergamena. Soprattutto quest’ultima fu il supporto più diffuso in Europa e nell’area mediterranea durante i secoli dell’alto Medioevo. Certamente ne girava parecchia prima che s’imponesse l’uso della carta, ma non era l’unico supporto scrittorio esistente. Ad esempio molta fortuna in età classica aveva avuto il papiro, che continuava a circolare anche nell’immediato post tardoantico. Ebbene, lo sapevate che la pergamena si diffuse inizialmente proprio a causa di un divieto che aveva a che fare con il papiro?

Procediamo con ordine. Anzitutto partiamo da un presupposto fondamentale. Tutto quello che vi sto per raccontare proviene da un’unica fonte (e già qui lo storico degno di tale nome dovrebbe storcere il naso), ovvero Plinio il Vecchio.
Secondo l’eccelso autore della Naturalis historia, la storia di come fosse nata la pergamena risaliva agli inizi del II secolo a.C. quando a regnare sul trono d’Egitto si trovava il quinto sovrano della dinastia tolemaica, ovvero Tolomeo Epìfane Eucarìsto, per gli amici Tolomeo V (204 – 180 a.C.).
Perdonatemi il tono, ma Tolomeo rosicava un sacco. Sì, era pur sempre consapevole della straordinarietà e della completezza della Biblioteca d’Alessandria, faro dell’intero scibile umano antico; eppure qualcosa urtava il suo animo. Quel qualcosa si trovava nel Regno di Pergamo, in Anatolia occidentale, e corrispondeva alla Biblioteca degli Attalidi. Forse l’unico centro di cultura e sapere in grado di rivaleggiare con l’omologa egizia.

Tolomeo, che la sapeva lunga e che conosceva bene il potenziale produttivo e commerciale del suo regno, volle sferrare un colpo basso alla monarchia attalide, proibendo la vendita del papiro – di cui, ricordiamo per giustezza di cronaca, era l’unico produttore in tutto il Mediterraneo – a Pergamo. Il divieto avrebbe rafforzato il prestigio della biblioteca alessandrina e danneggiato quello della rivale in Asia Minore. L’allora re pergameno, Eumene II Sotere (in carica dal 197 a.C. al 160 a.C.), per far fronte alla carenza di papiro, chiese ai suoi specialisti di trovare una soluzione. Ebbene la si scovò nella lavorazione delle pelli animali.
Queste vennero trattate in modo da offrire una superficie idonea alla scrittura. Il nuovo materiale, che prese il nome di pergamena dalla città stessa, non era solo un ripiego, ma un supporto destinato a rivoluzionare il mondo della cultura. Sebbene la diffusione della pergamena come mezzo predominante richiese ancora diversi secoli, il mito riportato da Plinio sottolinea la portata innovativa di questa scoperta.

La pergamena veniva prodotta a partire da pelli di vitello, pecora o capra, immerse in bagni di calce per eliminare peli e impurità, poi tese e raschiate fino a ottenere fogli sottili e levigati. Questo processo permetteva di ottenere due superfici lisce e scrivibili, un vantaggio enorme rispetto al papiro, che consentiva la scrittura solo su un lato.
Non era tuttavia l’unico aspetto positivo. La pergamena era preferibile poiché più abbondante e accessibile, dal momento che non dipendeva dalle coltivazioni di papiro concentrate unicamente in Egitto. Poi era più resistente, sopportando piegature e correzioni, al contrario del papiro che si lacerava facilmente. Infine, consentiva una nuova forma di raccolta dei testi: il codex, l’antenato del libro moderno. Questo era più pratico dei volumina di papiro, ossia i lunghi rotoli da srotolare in lettura. L’unico vero svantaggio stava nel suo costo, ben più alto in termini monetari e produttivi rispetto al rivale papiro.