Se il nome della baronessa di Carini vi suona famigliare è perché, probabilmente, vi ricordate dello sceneggiato trasmesso sulla Rai e interpretato da Vittoria Puccini e Luca Argentero, La baronessa di Carini. O se andate più indietro con la memoria, rammenterete anche l’altro sceneggiato Rai interpretato da Ugo Pagliai e Janet Agren dal titolo L’amaro caso della baronessa di Carini. Entrambi si basavano sulla tragica storia di Laura Lanza, meglio nota come la baronessa di Carini.
L’amore galeotto della baronessa di Carini

La sfortunata vita (e morte) della baronessa di Carini un po’ ci riporta alla mente la vicenda di Paolo e Francesca, i due amanti sfortunati immortalati da Dante Alighieri nella Divina Commedia. Laura Lanza di Trabia nacque a Trabia il 7 ottobre 1529. Era la figlia primogenita di Cesare Lanza, barone di Trabia e conte di Mussomeli e di Lucrezia Gaetani. La coppia ebbe altri figli: Giovanna e i fratellastri Ottavio (il primo principe di Trabia e responsabile della costruzione del palazzo del borgo) e Margherita, questi ultimi nati dalla seconda moglie, Castellana Centelles.
Pur essendo nata nel malconcio castello di Trabia, Laura visse l’adolescenza a Palermo, nel palazzo di famiglia. Visto che all’epoca Cesare non aveva ancora avuto un erede maschio, ecco che si affrettò a combinare le nozze della figlia con un membro di una casata ricca e potente.
Così, a soli 14 anni, Laura dovette sposare a Palermo don Vincenzo II La Grua-Talamanca, figlio di Pietro III, barone di Carini e di Eleonora Manriquez. Lei aveva 14 anni, lui 16. Dopo il matrimonio i due si trasferirono nel castello della famiglia dei Carini.

Nel corso del tempo i due ebbero otto figli. Tuttavia il matrimonio non doveva essere poi così felice perché Laura, nel corso della sua vita, ebbe una lunga relazione con Ludovico Vernagallo, cugino del marito. Nonostante Ludovico avesse un rango inferiore, ecco che Laura lo apprezzava parecchio, conoscendolo anche da tempo.
Potete ben immaginare come sia andata a finire. La tradizione sostiene che un giorno il padre, Don Cesare, li sorprese insieme e li uccise (o incaricò qualcuno di ucciderli, non è ben chiaro). La morte della coppia suscitò un certo clamore all’epoca.
Così, nel XVI secolo, un poeta siciliano sconosciuto immortalò la storia in un poemetto che, tramite la tradizione orale, è arrivato al giorno d’oggi. Nel poemetto (quindi immaginiamo che la narrazione fu un po’ romanzata), si sostiene che la baronessa, colpita al torace, si toccò la ferita. Appoggiandosi al muro con la mano grondante di sangue, lasciò su di esso un’impronta insanguinata.
Alcuni testimoni sostengono che l’impronta della mano insanguinata sia rimasta sul muro del castello fino alla metà del XX secolo. Si dice, però, che un custode, stufo dei turisti che accorrevano per vedere l’impronta, la eliminò dal muro.

Ma torniamo all’epoca in cui si svolsero i fatti. La gente comune non venne subito a sapere della morte della coppia. Le due famiglie coinvolte erano assai potenti e misero a tacere le dicerie. Per questo motivo sui vari documenti dell’epoca si trova solamente la data della morte e la notizia della dipartita, niente altro.
Forse nel tentativo di occultare ancora di più quanto accaduto, il vedovo si risposò praticamente subito con Ninfa Ruiz. Inoltre rinnovò immediatamente alcune stanze del castello, cancellando qualsiasi cosa potesse riportargli alla mente la prima moglie.
Si narra anche che nell’archivio della chiesa di Carini ci sia una lettera scritta di proprio pugno da Don Cesare Lanza, indirizzata a Filippo II, re di Spagna. Inoltre Don Cesare fu anche assolto per il crimine e, anzi, l’anno dopo ottenne il titolo di conte di Mussomeli.
La tradizione vuole che la baronessa di Carini sia tumulata nella cripta dei La Gru, proprio sotto l’altare maggiore della chiesa di Carini. Ma c’è anche chi ritiene che il corpo di Laura Lanza riposi a Palermo, nella cripta dei Lanza, in un sarcofago elaborato, ma anonimo.