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La Spagna di Franco e il paradosso del turismo

La Spagna di Franco e il paradosso del turismo

L’origine della riflessione che segue è da ricercarsi in una semplice, forse anche un po’ banale, domanda: come ha fatto la Spagna franchista, l’ultima dittatura dell’Europa occidentale, a diventare una delle mete turistiche più gettonate del continente? Il quesito in realtà ci permette di diversificare il campo di analisi, ponendo sotto il vaglio della nostra attenzione tanti altri interrogativi. Ad esempio, com’è che il regime iberico è riuscito a prendere il turismo, un promettente settore dell’economia di qualsivoglia paese nel mondo, e tramutarlo tanto in un’arma propagandistica quanto in uno strumento di legittimazione internazionale? Delle risposte esistono, dunque cercheremo di strutturarle assieme nel corso di questo articolo.

La Spagna di Franco e il paradosso del turismo

Si fa presto a pensare alla Spagna franchistasorta dalle ceneri della Guerra civil nel 1939 e tramontata con la morte del suo Generalísimo nel 1975 – come ad un Paese cattolicissimo, strenuamente conservatore e consumato dalla censura di Stato. È una verità, o meglio, è parte di una verità ben più complessa e sfumata. Perché se così fosse stato, allora non si spiegherebbe il flusso di milioni e milioni di turisti che a partire dai primi anni ’60 interessò la Spagna, universalmente riconosciuta come il “paradiso europeo del sole e delle spiagge affollate”. Insomma, se eri un normale esponente del ceto medio nell’Europa di quegli anni, molto probabilmente durante l’estate avresti optato per un viaggetto nella Spagna sotto dittatura franchista.

Sembra un paradosso, ma fidatevi di me, non lo è affatto. Franco e i suoi più stretti collaboratori idearono attentamente questo stratagemma, fondato sul potenziale economico e propagandistico del turismo di massa. Un ottimo modo per “ripulire” l’immagine di una nazione fino ad allora intesa entro i paradigmi dell’arretratezza e dell’isolamento politico internazionale.

turismo Francisco Franco

Nei primi due decenni dopo la guerra civile, Franco impose un modello economico autarchico, cioè basato sull’autosufficienza e sulla chiusura verso l’estero. Questa scelta, aggravata dall’isolamento diplomatico seguito alla Seconda guerra mondiale, portò a gravi carenze di beni di consumo, razionamenti e un diffuso impoverimento della popolazione.

Il punto di svolta arrivò con il Piano di Stabilizzazione del 1959, elaborato con l’aiuto di economisti legati al Fondo Monetario Internazionale e all’OCSE. Il piano aprì progressivamente la Spagna agli investimenti esteri, liberalizzò parte del mercato interno e pose le basi per quella fase di crescita accelerata che gli osservatori chiamarono “il miracolo spagnolo”, verificatosi tra il 1959 e il 1974, vigilia della dipartita di Francisco Franco.

In questo contesto, il turismo divenne un motore fondamentale. Se nel 1950 meno di un milione di stranieri visitavano la Spagna, nel 1975 il numero era salito a oltre 30 milioni di arrivi annuali. Il turismo contribuì a modernizzare il Paese, portando valuta pregiata, stimolando le infrastrutture e aprendo spazi di contatto culturale con il resto dell’Europa occidentale.

turismo spagnoli in vacanza

Sì, ma quand’è che dalle parti di Madrid compresero il valore del turismo? Esiste un momento simbolico in cui diventa chiaro il modo in cui poter e dover sfruttare il fenomeno? Beh, sì, era il 1951 quando il governo decise di istituire il Ministero dell’Informazione e del Turismo. Qualcosa in più di un semplice dipartimento votato alla promozione del turismo; il ministero assunse presto un ruolo centrale nella politica del regime.

Negli anni ’60, sotto la guida di Manuel Fraga Iribarne, il ministero lanciò la campagna internazionale con il celebre slogan “Spain is different!”. Lo slogan giocava su due registri: da un lato esaltava l’esotismo della Spagna (flamenco, corride, folklore andaluso, spiagge dorate), dall’altro, in maniera più sottile, invitava i turisti a considerare accettabile anche la “diversità politica” del regime franchista rispetto alle democrazie europee. L’operazione ebbe successo. La Spagna si presentava al mondo come utopia dei vacanzieri, un regno di sole e ospitalità, mentre le forme di repressione interna – censura, esilio degli oppositori, autoritarismo poliziesco – venivano accuratamente occultate o minimizzate.

turismo manifesto propaganda turistica

Il boom turistico trasformò radicalmente intere regioni della Spagna. Località come Benidorm, Torremolinos o la Costa Brava, un tempo piccoli villaggi di pescatori, divennero in pochi anni mete internazionali paragonate a “Miami sul Mediterraneo”. Grattacieli, hotel e complessi residenziali sorsero rapidamente, spesso senza pianificazione urbanistica, dando vita a un modello di turismo di massa che ancora oggi caratterizza la penisola iberica. Questo sviluppo ebbe un impatto contraddittorio. Da un lato migliorò le condizioni materiali di milioni di spagnoli, offrendo lavoro e aperture culturali; dall’altro accentuò squilibri ambientali, speculazione edilizia e fenomeni di dipendenza economica dal settore turistico.

Poi c’è un altro aspetto della tematica, che a mio modesto parere è il fulcro dell’intera vicenda. Il turismo non servì solo come valvola economica, ma anche come strumento diplomatico. Mentre altri regimi autoritari venivano stigmatizzati o isolati, la Spagna franchista seppe sfruttare il turismo come canale di apertura verso l’Occidente.

turismo spiagge spagnole

Le guide ufficiali – come Spain for You del 1964 – descrivevano la guerra civile in termini volutamente ambigui. Si leggeva “una scelta tra una Spagna spagnola e una Spagna satellite di Mosca”. Essi presentavano il franchismo come un sistema politico pragmatico e funzionante. Andavano oltre, poiché rassicuravano i visitatori sul fatto che non ci fossero particolari restrizioni o repressioni. La realtà era leggermente diversa. Il turismo, dunque, agiva come una forma di “diplomazia parallela”. Grazie a quest’ultima milioni di cittadini europei entravano in contatto diretto con la Spagna, contribuendo a normalizzare l’immagine del regime.