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L'impressionante rivolta degli Zanj

L’impressionante rivolta degli Zanj

Se pensiamo alle più grandi e partecipate rivolte servili della storia, certamente il pensiero corre subito alla Repubblica Romana del II-I secolo a.C. e alle varie insurrezioni guidate da Euno, Atenione, o il più famoso di tutti, il trace Spartaco. Se poi vi ritenete più affini alla modernità, allora balza all’attenzione la rivoluzione haitiana, iniziata da un gruppo coeso di schiavi nel 1791 e conclusasi 13 anni dopo con l’indipendenza dell’ex colonia caraibica francese. Per chissà quale motivo, la maggior parte delle persone tende ad ignorare la rivolta degli Zanj, che durante la seconda metà del IX secolo, per poco non fece collassare l’immenso Califfato degli Abbasidi. Eppure quella è stata una delle sommosse schiavistiche più grandi e partecipate della storia umana, con risvolti che, sebbene marginalmente, continuano ancora oggi a sopravvivere.

L'impressionante rivolta degli Zanj

Nel IX secolo, la regione di Baṣra (Bassora, se più di vostro gradimento), nel sud dell’attuale Iraq, era una delle più fertili e ricche dell’Impero abbaside. Qui, tra i due grandi fiumi – il Tigri e l’Eufrate – si estendevano vasti territori agricoli. Ma molte di queste terre erano diventate sterili e improduttive a causa dei depositi di salnitro e dei nitrati che si accumulavano dopo le inondazioni. Per rendere nuovamente coltivabili i terreni, i grandi proprietari terrieri della regione – tra cui il potente al-Ḥajjāj ibn Yūsuf, governatore di Kufa, e Maslama ibn ʿAbd al-Malik, fratello del califfo omayyade ʿAbd al-Malik ibn Marwān – iniziarono ad acquistare centinaia di schiavi africani.

Questi prendevano il nome di “Zanj“. Piccola digressione etimologica. Questi schiavi provenivano in larghissima parte dall’Africa orientale, più dalla costa che dall’entroterra, anche se eccezioni in tal senso non mancavano. Il nome “Zanj”, appunto, era usato dagli arabi per designare genericamente i popoli neri dell’Africa orientale. Su questo argomento, nella sua veste colonialista e contemporanea, esiste un approfondimento (esattamente questo), realizzato un po’ di tempo fa ma comunque ideale per comprendere a pieno la portata della tematica.

rivolta degli Zanj Califfato Abbaside 850 d.C.

Torniamo ora alla bassa Mesopotamia del IX secolo. Gli Zanj erano costretti a lavorare duramente sotto il sole cocente per bonificare i terreni paludosi, scavando canali, drenando le acque stagnanti e rimuovendo lo strato salato del suolo. Le loro condizioni di vita erano disumane a dir poco. Parliamo di uomini malnutriti, senza alcun diritto; costretti a sopportare punizioni brutali. Nonostante i loro padroni avessero sperato che l’ignoranza della lingua araba li rendesse più docili e sottomessi, l’efferatezza del lavoro e l’assenza di speranza accrebbero il rancore e la disperazione. Il terreno era fertile (battutaccia) per una rivolta senza precedenti nella storia.

Il punto di svolta giunse nel settembre 869, quando un uomo di nome ʿAlī ibn Muḥammad, figura carismatica, uno che con le parole sapeva cosa farci, iniziò a predicare tra gli schiavi, promettendo libertà, giustizia e ricchezza. Sosteneva di discendere da ʿAlī ibn Abī Ṭālib, cugino e genero del Profeta, nonché quarto califfo “ben guidato”, e da Fāṭima, figlia del profeta Maometto. Questa presunta genealogia gli conferiva un’aura di legittimità e di santità agli occhi dei più semplici, ma anche una forte carica sovversiva nei confronti del potere abbaside. Ricordiamolo: Baghdad basava la sua ragion d’essere sull’ortodossia sunnita e sull’avversione (progressivamente maggiore) allo sciismo.

rivolta degli Zanj mercato arabo degli schiavi

I suoi discorsi mescolavano abilmente retorica religiosa e rivendicazione sociale, richiamandosi ai principi dell’Islam primitivo e avvicinandosi, per molti aspetti, all’ideologia degli Kharigiti, un movimento radicale che predicava l’uguaglianza tra tutti i credenti e rifiutava l’autorità dei califfi corrotti. L’appello di ʿAlī sortì un certo effetto. Centinaia di schiavi si unirono a lui, spinti dalla fame, dal desiderio di libertà e dalla speranza in una giustizia divina. Non avevano nulla da perdere, e questo rappresentava forse il loro più grande vantaggio.

In breve tempo, la rivolta dilagò. Gli Zanj, inizialmente armati solo di strumenti da lavoro, riuscirono a sopraffare piccoli presidi militari e a catturare le loro armi. L’insurrezione del sud attirò anche beduini e mercenari, attratti dalla prospettiva di saccheggi. Approfittando della debolezza del Califfato, allora diviso da lotte interne e minacciato da altre sollevazioni (dicasi lo stesso per quella dei Saffaridi in Persia), gli Zanj ottennero vittorie sorprendenti.

ʿAlī ibn Muḥammad organizzò il suo esercito in modo disciplinato e stabilì una base fortificata nel cuore delle paludi del sud: al-Mukhtāra, “la Prescelta”. Questa divenne la capitale del loro regno autonomo, una sorta di “città ribelle” costruita tra canali e acquitrini, difesa da fossati e fortificazioni di fango. Da qui, gli Zanj organizzarono incursioni sempre più audaci, conquistando città come al-Ubulla, un importante porto sul Golfo Persico, e minacciando direttamente Baṣra, uno dei principali centri commerciali del Califfato abbaside.

rivolta degli Zanj battaglie IX secolo

Tra l’871 e l’anno 879, gli Zanj dominarono gran parte della Khūzistān e del sud dell’Iraq. Le loro incursioni furono accompagnate da terribili massacri. Intere città furono rase al suolo, e migliaia di civili vennero uccisi o ridotti in schiavitù. Fonti contemporanee parlano di scene di inaudita violenza, tanto che la sola menzione della loro avanzata bastava a seminare il panico tra la popolazione. Tuttavia, le fonti di cui si è detto pocanzi, erano tutte filo-califfali. Vien da sé che fosse nel loro interesse porre in cattiva luce la rivolta degli Zanj contro il potere costituito da cui essi dipendevano.

Il califfo al-Muʿtamid, incapace di contenere la rivolta, affidò i pieni poteri militari a suo fratello al-Muwaffaq. Quest’ultimo godeva del sostegno dei reparti turchi dell’esercito abbaside. Tuttavia, anche le sue prime spedizioni fallirono. Nell’872, l’esercito califfale subì una pesante sconfitta. Per anni, la guerra continuò con alterne fortune, mentre il potere di ʿAlī si consolidava e i ribelli riuscivano a spingersi fino a Wāsiṭ, a meno di 120 chilometri da Baghdad.

L’equilibrio si ruppe solo verso la fine del decennio. Nell’879, al-Muwaffaq riuscì a stabilizzare la situazione interna del Califfato e a concentrare le sue forze contro gli Zanj. Grazie anche all’appoggio del governatore d’Egitto Aḥmad ibn Ṭūlūn, che inviò rinforzi, le truppe califfali intrapresero una lunga e metodica campagna di riconquista.

rivolta degli Zanj schiavi combattono

Dopo anni di scontri sanguinosi, nell’anno 883 le truppe di al-Muwaffaq conquistarono finalmente al-Mukhtāra. ʿAlī ibn Muḥammad tentò la fuga, ma venne catturato e ucciso durante gli ultimi combattimenti. La sua testa mozzata fu portata trionfalmente a Baghdad e issata su una picca, simbolo della restaurazione del potere abbaside dopo 14 anni di ribellione.

I numeri della rivolta degli Zanj non si conoscono, ed è facile immaginare perché. Le fonti arabe il più delle volte non forniscono dati numerici e, quando lo fanno, tendono a sparare alto. Tuttavia è possibile concepire l’entità dell’evento storico. La ribellione del 869-883 lasciò dietro di sé una scia di distruzione immensa. Le città del sud mesopotamico (dove i fiumi sacri confluiscono nello Shatt al-‘Arab) si riscoprirono devastate, le campagne spopolate. Oltre ciò, il commercio lungo il Tigri e l’Eufrate aveva subito un tracollo spaventoso.

Altro elemento a sostegno della gravità dell’evento si riscontra osservando il mutamento delle decisioni prese a Baghdad e dai governatorati associati. Gli Abbasidi, scossi dalla ferocia e dalla durata della ribellione, decisero di non utilizzare più schiavi africani nei lavori agricoli. Al loro posto, introdussero schiavi di origine slava (Saqāliba), acquistati attraverso il commercio gestito dai Radaniti. Era una rete di mercanti ebrei che collegava l’Europa orientale al mondo islamico.

Ma al di là delle rovine materiali, la rivolta degli Zanj rimase impressa come un simbolo di ribellione sociale. Una lotta disperata e sanguinosa degli oppressi contro il sistema schiavistico. Fra le altre cose, mise in luce la disuguaglianza di un impero momentaneamente in declino (si sarebbe dissolto quattro secoli più tardi però). Per molti storici moderni, essa rappresenta una delle prime grandi insurrezioni di schiavi della storia, paragonabile, per estensione e ferocia, alle guerre servili della Roma antica.