Quanto vorrei fosse tutto frutto di una leggenda popolare, di una menzogna creata ad hoc per attirare sbadati turisti, di una fantasia sfrenata, apparentemente senza limiti. Invece no, nulla di tutto questo, perché la storia che vi sto per raccontare non solo è veritiera, ma persino supportata da fonti materiali ufficiali pressoché indiscutibili. Dunque mettiamoci comodi e chiediamoci all’unisono: come mai in Pakistan si trova un albero in stato d’arresto, situazione resa esplicita da catene che lo legano a terra, più o meno dalla fine del XIX secolo?

Non avrei mai pensato di pormi un simile quesito e invece eccomi qui. Allora, cerchiamo di inquadrare storicamente la vicenda. Nel 1898 il villaggio di Landi Kotal faceva parte dell’estremo lembo occidentale sotto l’egida del Raj britannico. Grazie al controllo dell’area, gli inglesi decidevano chi potesse e chi non potesse varcare il passo del Khyber, strategicamente vitale per i transiti nella regione.
Data la rilevanza strategica, gli uomini di Sua maestà costruirono a Landi Kotal un forte militare in grado di ospitare la guarnigione stagionale e gli ufficiali in comando. Dal 1899 in poi, gli unici rappresentanti dell’Impero britannico nell’area furono i Khyber Rifles, una milizia locale fedele al governo coloniale ma de facto autonoma. Permaneva comunque qualche ufficiale di basso grado proveniente dalla Gran Bretagna.

Fra questi, nel 1898 si distingueva un tale di nome James Squid. Su di lui non si sa moltissimo. Ciò che traspare riguarda esclusivamente il tenore della sua direzione del forte. Uno dei più anziani dell’odierna cittadina di Landi Kotal ha rilasciato un’intervista in cui racconta ciò che suo nonno, ancora vivo al tempo di James Squid, ricorda della dominazione inglese. L’uomo, che rispondeva al nome di Fateh Khan Shinwari, rivelò al nipote i metodi efferati di cui si avvaleva l’ufficiale Squid per mantenere la stretta sulla popolazione civile.

Sembra che un giorno l’ufficiale Squid alzò leggermente il gomito. Ubriaco com’era, vide un albero di baniano muoversi. Infastidito dal fatto (come osano scappare questi alberi!?) ordinò ad un suo sottoposto di porre in stato d’arresto l’albero. Fece incatenare per questo i suoi rami più possenti al suolo. L’atto, per quanto assurdo, fu riportato successivamente dai locali su un cartello. Quest’ultimo è legato ancora oggi all’albero e recita:
“Sono in arresto. Una sera un ufficiale britannico, ubriaco fradicio, pensò che mi stessi trasferendo dalla mia posizione originale e ordinò al sergente di mensa di arrestarmi. Da allora sono in stato d’arresto”.
Il cartello pone l’accento sull’insensatezza del gesto, ma un colonnista del Washington Post, rifacendosi alle parole spese da alcuni quotidiani pakistani, offre una seconda e forse più adeguata interpretazione. James Squid sarà stato anche ubriaco, ma il gesto assolveva forse ad uno scopo intimidatorio. Un modo con cui l’ufficiale britannico sfoggiò il potere brutale e incontrastabile del dominio coloniale. Se un albero di baniano poteva fare quella fine, figuriamoci gli esseri umani avversi al dominio inglese.

Sempre la testimonianza di Fateh Khan Shinwari ci svela un ultimo dettaglio della vicenda. Quando le tribù Afridi presero il temporaneo controllo di Landi Kotal, lasciarono il cartello lì dov’era. Così avrebbero mostrato alle generazioni successive la spietatezza dell’imperialismo occidentale.